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Dimensional approaches to the psychopathology of personality: from personality disorder to personopathy?

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Academic year: 2020

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Summary

Aim

The Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV-TR) represents personality disorders in a categorical manner. This review briefly discusses the limitations of the current cat-egorical model of personality disorders. An alternative view to the categorical approach is the dimensional perspective that per-sonality disorders represent maladaptive variants of perper-sonality traits that merge into both normality and one another. The vari-ous proposals for “dimensionalizing” the personality pathology are discussed in the light of recent achievements in this field. A dimensional approach would ameliorate many of the problems associated with a categorical approach. This article reviews re-cent evaluations of dimensional approaches to the description of personality, personality disorders and psychopathology.

Methods

PubMed and PsycInfo (1970-2011) databases were searched for English language articles using the following keywords: cat-egorical psychopathology, dimensional psychopathology, per-sonality, personality disorders, personality traits and nosograph-ic psychiatry. We reviewed papers that addressed the following aspects of personality disorders: personality traits, dimensional models of personality, dimensional assessment of personality pa-thology, aetio-epigenetic structure of traits delineating personal-ity disorder and dimensional versus categorical classification of mental disorders covered by general psychopathology.

Results

Several dimensional models of personality disorders are present-ed in this short review.

Recent studies have identified four main factors that can be used to characterize disorders of personality. Herein, an integrated dimensional approach to the personality pathology is presented. one issue that still needs to be addressed is how to integrate these dimensions into the current classification system such that they will be accepted by both clinicians and psychopathologists. The clinical utility of the dimensional models must also be dem-onstrated. The development of a method that combines trait el-evations and impairment associated with personality pathology is needed in order to define personality disorder from a dimen-sional perspective. Several issues must be addressed to facilitate the adoption of a dimensional model of personality disorder.

Conclusions

In this literature review, future directions are presented that might be useful to integrate different dimensional approaches. A review on this theme is timely and relevant in consideration of the upcoming DSM-V. Research and clinical evidence support the inclusion of this dimensional representation of personality disorders in the DSM-V, possibly as an adjunct to the traditional categorical classification framework. It is likely, therefore, that in addition to the classical description of categorical “Personality Disorder”, in the future there will be a more complex dimension-al description of persondimension-ality psychopathology: “Personopathy”? Although there may be some initial resistance to the incorpora-tion of dimensional models in future diagnostic manuals, clini-cians and researchers would benefit from a more reliable and valid representation of personality pathology and of psychopa-thology itself.

Key words

Psychiatric nosography • Categorical approach • Dimensional perspec-tive • Personality traits • Personality disorders • Psychopathology

Approcci dimensionali alla psicopatologia di personalità:

dal disturbo di personalità alla personopatia?

Dimensional approaches to the psychopathology of personality: from personality disorder

to personopathy?

V. Manna

Dipartimento Salute Mentale, Azienda USL Roma H, Albano Laziale (Roma)

Correspondence

Vincenzo Manna, via Quintilio Varo 133, 00174 Roma, Italia • Tel. +39 06 71584135 • +39 333 3625218 • E-mail: vi .manna@tiscali.it Do not believe in anything simply because you have heard it. Do not believe in traditions because they have been handed down for many generations. Do not believe in anything because it is spoken and rumoured by many. Do not believe in anything simply because it is found written in your books. Do not believe in anything merely on the authority of your teachers and elders. But after observation and analysis when you find that agrees with reason and it is conductive to the good and benefit of one and

all: then accept it and live up to it. Siddhartha Gotama Sakiamuni Buddha, circa 600 a.C.

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mitato congiunto dell’American Psychiatric Association e del national Institute of Mental Health incaricato di indi -viduare le questioni pressanti per la prossima pubblica-zione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Quinta Edizione (DSM-V), ha concluso che “vi è un chiaro bisogno di sviluppare modelli dimensionali per la loro utilità e per essere confrontati con le tipologie esistenti”  4. Tale comitato ha rilevato, in particolare, la

necessità di sviluppare un modello dimensionale dei DP. A questo fine, una conferenza internazionale ha rivisto l’evidenza empirica di un modello dimensionale dei DP,

suggerendone l’implementazione 5. In quest’articolo

esa-mineremo i recenti sviluppi degli approcci dimensionali alla descrizione della personalità, della patologia di per-sonalità e del rapporto tra psicopatologia e patologia di personalità. Questi argomenti hanno ricevuto negli

ulti-mi anni crescente attenzione 6. Discuteremo brevemente

i limiti dell’attuale modello categoriale dei DP, quindi, valuteremo brevemente le proposte dimensionali alter-native, avanzate per la patologia di personalità e discute-remo le più recenti scoperte relative a questi approcci. In seguito, saranno presentati, in breve, i principali modelli dimensionali di patologia della personalità che stanno ricevendo crescente attenzione, in ambito clinico e psi-copatologico. Infine, discuteremo diverse questioni che devono essere affrontate per facilitare l’adozione di un modello dimensionale di DP nella pratica clinica. In par-ticolare sarà affrontato, secondo un approccio dimensio-nale, il complesso rapporto tra patologia della personali-tà (disturbi di Asse II) e psicopatologia (disturbi di Asse I).

Disturbi di personalità: modelli categoriali

e modelli dimensionali a confronto

Nel DSM-IV-TR, i DP sono definiti all’interno di un si-stema tassonomico gerarchico e categoriale. I dieci DP descritti presentano una definizione politetica sulla base di circa sette/nove elementi, di cui un sottoinsieme deve essere presente, al fine di soddisfare la soglia diagnostica. Inoltre, il DSM-IV-TR presenta un sistema gerarchico con

i disturbi della personalità raggruppati in tre cluster. Que

-sto sistema categoriale offre diversi vantaggi pragmatici. Aiuta nella decisione clinica sul piano diagnostico (il pa-ziente è portatore o no di un DP?) e sul piano terapeutico (va fornito o no un trattamento?). È relativamente facile da usare per scopi di comunicazione e di concettualizza-zione. Molte informazioni possono essere trasmesse sotto una sola etichetta diagnostica, per quanto riguarda le ca-ratteristiche, le relative condizioni e, indirettamente, per le possibili opzioni di trattamento. Purtroppo, insieme ai vantaggi sono stati evidenziati numerosi limiti e gravi pro-blemi con il sistema di diagnosi categoriale dei disturbi

della personalità 6. Le categorie di DP sono piuttosto

ete-rogenee per quanto riguarda i sintomi e le caratteristiche.

Introduzione

Il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders

dell’American Psychiatric Association nella sua terza

edi-zione (DSM-III, APA, 1980) e nelle edizioni successive, (III, IV e IV-TR) ha operato una preliminare distinzione fra “tratti” e “disturbi” di personalità 1-3. Nell’ottica DSM,

i tratti di personalità sono modi costanti di percepire,

rapportarsi e pensare, nei confronti dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di conte-sti sociali e personali importanti. Solo quando i tratti di personalità sono rigidi e non adattivi, causando, quindi, una significativa compromissione del funzionamento so-ciale o lavorativo oppure una sofferenza soggettiva, essi costituiscono disturbi di personalità (DP). La caratteristi-ca essenziale di un DP, secondo il DSM, è un modello costante d’esperienza interiore e di comportamento, che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo e si manifesta nell’ambito della cognitivi-tà, dell’affettivicognitivi-tà, del funzionamento interpersonale o del controllo degli impulsi. Questo modello è inflessibile e pervasivo, interessa un ampio spettro di contesti personali e sociali, determina un disagio clinicamente significativo o la compromissione del funzionamento sociale e

lavora-tivo o di altre aree importanti della vita dell’individuo. Si

tratta di un quadro stabile e di lunga durata il cui esordio si può far risalire all’adolescenza o alla prima età adulta. La diagnosi di DP può non essere facile, poiché richiede una valutazione del modello di funzionamento a lungo termine dell’individuo, le cui particolari caratteristiche di personalità devono essere evidenti fin dalla prima età adulta. I tratti di personalità che definiscono questi distur-bi devono anche essere tenuti distinti da caratteristiche che emergono in risposta a eventi stressanti, situazioni specifiche o a stati mentali transitori. Il concetto di sof-ferenza soggettiva può mancare in questa patologia, poi-ché le caratteristiche che definiscono un DP possono non essere considerate problematiche da parte dell’individuo (tratti egosintonici). Il DSM-III ha stabilito un sistema ca-tegoriale per la psicopatologia della personalità che si compone di DP, discreti, ciascuno con una serie distinta di criteri diagnostici. Anche se questo sistema diagnostico è stato ampiamente accettato ed è stato molto influente nella psichiatria mondiale, approcci alternativi e dimen-sionali alla patologia di personalità sono stati proposti, già da molti anni. Il DSM-IV-TR ha continuato a rappre-sentare i disturbi della personalità in modo categoriale, codificandoli secondo criteri di presenza/assenza di de-terminati segni o sintomi. In realtà, già nel DSM-IV-TR era riconosciuto che “una prospettiva alternativa all’ap-proccio categoriale è il punto di vista dimensionale, per cui i disturbi della personalità potrebbero rappresentare varianti disadattive dei tratti di personalità che sfumano

(3)

-livelli di gravità quantitativi per la diagnosi DSM 11 o per

le dimensioni della personalità 12 si potrebbe contribuire

a risolvere molte delle problematiche sollevate dal

mo-dello categoriale.

Un’altra strategia quantificativa è stata proposta nel-la valutazione per confronto di quanto un caso clinico coincide con un caso prototipico, di quel particolare DP,

secondo la classificazione DSM 13 14. Ad esempio, un

pa-ziente che presenta tutti i criteri diagnostici per un DP può essere definito come affetto da un DP “propriamente detto” o “prototipico”, oppure se solo uno o due criteri diagnostici non sono presenti o comunque non raggiun-gono livelli soglia, si potrebbe parlare di DP “modera-tamente presente”. Si può parlare di DP “soglia”, se è soddisfatta la sola soglia diagnostica, nonché di DP “sot-tosoglia” se i sintomi sono presenti ma sono appena al di sotto della soglia diagnostica. In tale prospettiva, si po-trebbe anche diagnosticare la presenza di “tratti” di DP quando non più di 1-3 criteri diagnostici sono presenti e come DP “assente”, se nessuno dei criteri

diagnosti-ci sono stati rilevati 13. Quest’approccio apparentemente

pragmatico e utile non risolve il problema della sovrap-posizione tra diversi DP e tende a reificare le categorie diagnostiche esistenti 5.

Un approccio dimensionale alternativo è stato tentato cercando di individuare i tratti di personalità, che stanno alla base dei DP, descritti secondo i criteri diagnostici DSM. Lungo queste linee di pensiero, alcuni ricercato-ri hanno effettuato analisi fattoricercato-riali, valutando quantita-tivamente i punteggi relativi ai singoli criteri dei diver-si DP, al fine di rivelare le principali dimendiver-sioni a esdiver-si sottesi. In alternativa, alcuni ricercatori hanno condotto analisi di cluster volte a individuare i gruppi di pazienti che condividono specifiche caratteristiche di personalità. Purtroppo né l’analisi fattoriale né le analisi di cluster, applicate in questo contesto, hanno prodotto risultati

co-erenti e di utilità clinica 15 16. Altri ricercatori, invece,

han-no raccolto sistematicamente le descrizioni dei sintomi e dei tratti, ritenuti rilevanti per i vari DP o, meglio, per la patologia della personalità a prescindere da costrutti categoriali DSM. Sui dati ottenuti e sulle valutazioni di questi sintomi o caratteristiche di personalità sono sta-te eseguista-te analisi fattoriali. In questo modo sono stasta-te identificate le dimensioni principali alla base dei tratti e dei sintomi della patologia di personalità. Alcuni studiosi hanno individuato quattro fattori d’ordine superiore che sembrano rappresentare la gran varietà di caratteristiche e di sintomi associati alle personopatie: la disregolazio-ne emozionale, il comportamento dissociale, l’inibiziodisregolazio-ne

(inhibitedness) e la compulsività 17 18. Come vedremo in

seguito, quest’approccio ha acquisito una certa popola-rità e un certo seguito, costituendo la base per un im-portante modello integrativo dimensionale, che potrebbe essere adottato dal DSM-V.

La comorbidità per i DP è la regola e non l’eccezione. Le diagnosi di DP, contraddicendo le premesse teoriche, non sembrano essere molto stabili nel periodo

medio-lungo 7. Risultati come questi suggeriscono che i DP

pos-sono non rappresentare distinte entità diagnostiche e che la loro classificazione categoriale non è ottimale.

L’approccio categoriale può generare confusione e so-vrapposizione tra DP e quadri psicopatologici di Asse I al loro primo esordio. Esiste anche un’eccessiva comor-bidità tra i diversi DP, soprattutto a causa della mancan-za di confini ben definiti. Inoltre, la distinzione fra tratti di personalità in un range di normalità e DP è in gran parte arbitraria. In termini di selezione dei trattamenti i DP si sono dimostrati di limitata utilità per la scelta di uno specifico trattamento. Una diagnosi di DP, secon-do il DSM-IV-TR, è scarsamente correlata, infatti, al tipo di trattamento che il paziente riceverà. Infine, l’attuale sistema fa un pessimo lavoro nel descrivere i disturbi del-la personalità che si incontrano neldel-la pratica clinica. Il DP più comunemente diagnosticato, non a caso, è il DP “non altrimenti specificato” (NAS). Ciò si potrebbe inter-pretare come un vero segnale d’allarme circa la validità del sistema di classificazione DSM-IV-TR.

L’approccio dimensionale è stato descritto come parti-colarmente indicato per le diagnosi d’Asse II. I model-li dimensionamodel-li di personamodel-lità si sono sviluppati a

par-tire dalle dimensioni biologiche di temperamento  8 e

dall’analisi fattoriale su set completi di tratti 9. Essi

forni-scono valutazioni quantitative più affidabili tra valutatori diversi e nelle valutazioni seriate nel tempo. I modelli di-mensionali contribuiscono a spiegare l’eterogeneità dei sintomi e la mancanza di chiari confini tra le diagnosi categoriali, rilevando il ruolo svolto dai sottostanti tratti di personalità. Le dimensioni, inoltre, conservano impor-tanti informazioni sui tratti sottosoglia e sui sintomi che possono essere d’interesse clinico. Esse ci permettono di integrare le conoscenze scientifiche relative all’eziopa-togenesi dei tratti di personalità e ai conseguenti disturbi

dell’adattamento 6.

Il termine “dimensionale” è usato per descrivere molti approcci diversi alla quantificazione della personalità, sana o patologica. In questa revisione, evidenzieremo i più comuni approcci “dimensionali”.

Storicamente un primo tentativo è stato quello di “quan-tificare” ogni DP, indicando il grado in cui i singoli ele-menti diagnostici necessari per la diagnosi nella clas-sificazione DSM, erano presenti. In realtà, è possibile quantificare semplicemente l’effettivo numero di criteri presenti per ogni disturbo della personalità, oppure indi-care il grado in cui ogni singolo criterio per il disturbo è presente. In uno studio, la numerosità dei criteri di DP è risultata essere più attendibile nella previsione del danno

funzionale rispetto alla semplice diagnosi categoriale 10.

(4)

lità, basato su di una teoria bio-sociale generale del

temperamento 29.

Gli approcci alla nosografia categoriale DSM all’epoca vigente avevano, a suo giudizio, molteplici limiti concet-tuali e pratici, come, ad esempio:

• il fatto che un soggetto potesse avere tratti caratteristi-ci di più di un DP, nonostante le categorie diagnosti-che del DSM-III fossero specifidiagnosti-che e separate tra loro; • la difficoltà e l’arbitrarietà della distinzione clinica fra

tratti maladattivi di personalità e DP;

• la dipendenza da variabili situazionali e temperamen-tali dell’adattamento, per cui lo stesso temperamento può portare al successo in un ambiente e al disadatta-mento fino al DP in un altro;

• la considerazione che i criteri e le categorie usate per valutare la personalità variasse più in rapporto alle idee prevalenti del momento che non a dati di fatto, obiettivi e stabili;

• la constatazione che i diversi DP possono essere definiti più come prototipi o esempi che non come entità patofisiologiche distinte, con naturali confini diagnostici.

La teoria di Cloninger si fonda sui dati derivati da una serie di studi che vanno da quelli sulla familiarità a quel-li sullo sviluppo longitudinale degquel-li individui, da quelquel-li psicometrici sulla struttura della personalità a quelli neu-rofarmacologici e neuroanatomici. Cloninger ha, perciò, ipotizzato l’esistenza di dimensioni geneticamente indi-pendenti, che presentano prevedibili pattern d’interazio-ne d’interazio-nelle loro risposte adattive a specifici stimoli ambien-tali. Le dimensioni temperamentali secondo Cloninger

sono: novelty Seeking (NS) (ricerca della novità); Harm

Avoidance (HA) (evitamento del danno); Reward Depen-dance (RD) (dipendenza dalla ricompensa); Persistence

(Persistenza) (Tab. I).

Ognuna delle prime tre dimensioni riflette, secondo Clo-ninger, l’attività di tre sistemi cerebrali che regolano, rispettivamente, il comportamento d’attivazione, d’evi-tamento e di mantenimento e che sono espressione, ri-spettivamente, d’attività dopaminergica, serotoninergica e noradrenergica. Le prime tre dimensioni di personalità possono avere punteggi positivi (alti) e negativi (bassi) e possono definire, nelle loro correlazioni reciproche, tre piani cartesiani (NS/HA, NS/RD e HA/RD) nei quali si di-stribuiscono i diversi comportamenti in base ai punteggi nelle dimensioni che li definiscono. I punteggi alti e bas-si nelle prime tre dimenbas-sioni danno luogo a 8 posbas-sibili combinazioni che potrebbero corrispondere, in ottica ca-tegoriale, a 8 diversi DP, per certi versi, analoghi a quelli

tradizionali.

Per valutare le caratteristiche (normali e abnormi) di personalità secondo il suo modello, Cloninger ha

defini-to il Tridimensional Personality Questionnaire (TPQ) 30,

uno strumento d’autovalutazione composto di 100 item Quest’approccio più radicale ha utilizzato i tratti di

per-sonalità indipendentemente da tutti gli attuali sistemi di classificazione categoriale (DSM, ICD) non solo per ca-ratterizzare, ma anche per ridefinire la personalità e la sua patologia. In altre parole, potrebbe essere possibile non utilizzare un modello già esistente di personalità per caratterizzare e definire la patologia della persona-lità, in senso non categoriale. Quest’approccio sembra fornire una serie di vantaggi. Utilizzando un approccio dimensionale ai tratti, è possibile ottenere una miglio-re compmiglio-rensione anche degli attuali costrutti dei DP. I fattori che possono influenzare lo sviluppo dei princi-pali tratti di personalità potrebbero, inoltre, essere inte-grati in specifiche teorie eziopatogenetiche. Le misure psicometriche di tratto, già esistenti, possono aiutare a individuare e definire patologie di personalità (persono-patie?) che attualmente non sono rappresentate nei si-stemi diagnostici categoriali. In una prospettiva di tratto la patologia di personalità potrebbe anche contribuire a integrare il temperamento infantile con gli aspetti del-la personalità adulta. Alcuni studi indicano una certa

convergenza e, implicitamente, una certa continuità tra

i domini principali di temperamento infantile e di tratti della personalità adulta 19.

La patologia di personalità in ottica

dimensionale

Tre diversi modelli dimensionali di personalità hanno raccolto particolare attenzione:

1. il modello psicobiologico del temperamento e del

ca-rattere a 7 fattori 20;

2. il modello a 18 fattori della patologia di personalità 21 22;

3. il modello a 5 fattori (five factors Model, FFM) 23.

Ciascuno di questi modelli è stato esaminato in relazio-ne ai dieci DP del DSM. In particolare, in uno studio è stata esaminata la validità comparativa di questi mo-delli nel predire i sintomi per le dieci patologie di per-sonalità DSM. Utilizzando strumenti d’autovalutazione, con analisi di correlazione e con analisi di regressione lineare è stato evidenziato che tutti e tre i modelli pre-sentavano associazioni statisticamente significative con i sintomi di DP 24 25.

I più diffusi e conosciuti approcci di tratto alla perso-nopatia comprendono il modello a sette fattori di

Clo-ninger 20 26 e il modello a cinque fattori della personalità

(FFM) 27 28.

1. Il modello psicobiologico a sette fattori di Cloninger

(5)

persona-Secondo Cloninger, studi etologici hanno suggerito, inol-tre, che l’apprendimento concettuale basato sull’insight evolve sulla base di un apprendimento pre-concettuale

correlato al temperamento. L’apprendimento concet -tuale implica l’apprendimento di nuove risposte adat-tive come risultato della riorganizzazione concettuale dell’esperienza e della riorganizzazione del concetto di sé, poiché, nell’apprendimento basato sull’insight, le nostre risposte inconsce, automatiche, volte a iniziare, mantenere o sospendere un comportamento, inizialmen-te deinizialmen-terminainizialmen-te dai fattori inizialmen-temperamentali genetici, pos-sono essere successivamente modificate e condizionate dai cambiamenti, che la continua riorganizzazione del concetto di sé e d’identità provoca sul significato e sulla rilevanza degli stimoli. Lo sviluppo della personalità è, in quest’ottica, un processo nel quale i fattori

tempera-mentali ereditari motivano inizialmente l’apprendimento

cosciente e strutturano il concetto di sé, il quale, a sua volta, modula il significato e l’importanza degli stimoli ai quali l’individuo risponde. Temperamento e sviluppo del carattere s’influenzano reciprocamente e motivano il

comportamento.

Tre sono gli aspetti principali dello sviluppo del concet-to di sé, secondo Cloninger, che corrispondono alle tre dimensioni del carattere: Self-Directedness (Auto-diretti-vità); Cooperativeness (Cooperati(Auto-diretti-vità);

Self-Transcenden-ce (Auto-trasSelf-Transcenden-cendenza) 20 31 (Tab. II). Partendo da questi

presupposti e facendo riferimento anche alle teorie cir-ca lo sviluppo della personalità, secondo la psicologia umanistica e transpersonale, Cloninger ha rielaborato il suo modello biosociale di personalità portando a sette le dimensioni per l’aggiunta alle quattro dimensioni tempe-dicotomi (vero/falso) di cui, però, ne sono presi in

con-siderazione 98 perché due – il 61º e il 71º – sono stati eliminati dalla computazione dei punteggi, anche se so-no stati mantenuti nello strumento, per so-non alterare la sequenza degli item per le elaborazioni e

l’archiviazio-ne computerizzata.

Ognuna delle prime tre dimensioni indagate è composta di quattro dimensioni bipolari di secondo ordine:

• novelty Seeking (nS): NS1 –  eccitabilità esplora-toria/rigidità stoica, NS2 –  impulsività/riflessione, NS3  –  stravaganza/riservatezza, NS4 –  disordine/ir-reggimentazione;

• Harm Avoidance (HA): HA1 –  ansia anticipatoria/ ottimismo disinibito, HA2 – paura dell’incertezza/ si-curezza, HA3 – diffidenza verso gli estranei/socievo-lezza, HA4 – affaticabilità e astenia/energia;

• Reward Dependance (RD): RD1 –  sentimentali-smo/insensibilità, RD2 –  ostinazione/indecisione, RD3 – attaccamento/distacco, RD4

– dipendenza/in-dipendenza.

Gli studi normativi, oltre a confermare la struttura terna-ria del temperamento proposta da Cloninger, sembrava-no indicare la presenza di una quarta dimensione

distin-ta, indicata come Persistence (Persistenza) e definita

co-me “perseveranza nonostante la fatica e la frustrazione”. Questa dimensione, ritenuta inizialmente una

compo-nente della Reward Dependance successivamente non è

risultata correlata con gli altri aspetti della RD e un ampio studio condotto su gemelli, ha confermato che ciascuno di questi quattro fattori temperamentali aveva un’eredita-bilità compresa fra il 50 e il 65% ed era geneticamente

omogeneo e indipendente dagli altri 30. TAbeLLA I.

Descrizione delle dimensioni temperamentali secondo Cloninger. Description of the Cloninger’s temperament dimensions.

Dimensioni temperamentali Descrizione novelty Seeking (NS)

(ricerca della novità) Una marcata tendenza verso l’allegria o l’eccitamento marcato in risposta a stimoli nuo-vi o a prospettive di gratificazione o di evitamento delle punizioni, tendenza all’attività esploratoria e alla ricerca di potenziali gratificazioni, così come all’evitamento attivo della monotonia e della potenziale punizione, impulsività decisionale e scarsa resistenza alle frustrazioni

Harm Avoidance (HA)

(evitamento del danno) La tendenza a rispondere intensamente a stimoli avversivi (di pericolo, di danno, comunque, negativi), così come a imparare a inibire il comportamento per evitare la punizione, evitamento delle novità (paura dell’ignoto), frustrante mancanza di gratificazione, scarsa resistenza agli stress fisici, tendenza all’anticipazione pessimistica

Reward Dependance (RD)

(dipendenza dalla ricompensa)

Una tendenza ereditaria a rispondere intensamente a segnali di gratificazione (come segnali verbali d’approvazione sociale, affettiva, d’aiuto, ecc.), a mantenere comportamenti (o a evi-tarne l’estinzione) che sono stati associati a gratificazioni o all’evitamento della punizione, tendenza al sentimentalismo, ai comportamenti abitudinari, eccessivo attaccamento sociale,

dipendenza dall’approvazione

Persistence

(6)

tratti specifici, che definiscono 18 scale di personalità, le quali, a loro volta, formano una struttura a quattro fattori dimensionali principali: 1)  disregolazione emozionale; 2) comportamento asociale; 3) inibizione; 4) compulsi-vità. Il modello DAPP ha dimostrato un’alta convergenza sia con strumenti di valutazione della personalità nor-male sia con altri modelli di valutazione della patologia di personalità. La robustezza della struttura fenotipica a quattro fattori emerge come risultato degli effetti genetici pleiotropici di tratti specifici 35. Tuttavia, i tratti di

perso-nalità più specifici non possono essere ridotti alle dimen-sioni più ampie e inclusive, perché rimane una sostan-ziale varianza residua, su base ereditaria e ambientale, dopo che gli effetti delle dimensioni d’ordine superiore sono stati rimossi. Questo indica che i tratti patologici hanno una complessa eziologia, determinata da numero-si divernumero-si fattori, numero-sia genetici numero-sia ambientali, che rendono altamente plausibile l’esistenza di distinte categorie di

patologia della personalità 36. Un questionario di base per

la Valutazione Dimensionale della Patologia di Persona-lità (DAPP-BQ) è stato strutturato e validato da Livesley e Jackson, impiegando una struttura dimensionale coerente con gli approcci più comuni alla corrente classificazione

dei DP 37. La valutazione dimensionale della personalità

con il DAPP-BQ è una misura rivoluzionaria in clinica, sostenuta da oltre 15 anni di ricerca empirica. Il questio-nario è stato progettato per valutare e contribuire a

tratta-re i disturbi della personalità lungo il continuum da tratto

lieve a manifestazioni estreme di tratto. Il DAPP-BQ è stato tradotto in diverse lingue ed è in linea con la ricerca emergente, che sostiene un approccio dimensionale alla patologia di personalità. Essa quantifica le caratteristiche primarie di personalità su 18 scale e fornisce informazio-ni specifiche di tratto, utili nella diagnosi cliinformazio-nica e nella pianificazione del trattamento. Il DAPP-BQ sembra esse-re un valido strumento per la selezione degli interventi e sembra capace di predirne, talora, i risultati. Esso for-nisce una migliore comprensione dei comportamenti e dei sintomi, riduce le sovrapposizioni diagnostiche, aiuta i medici a capire, classificare e curare i DP. Facilita la descrizione dei tratti di personalità adattivi e può aiutare ramentali originali di tre dimensioni caratteriali. La

Self-Directedness (SD), che ha come concetto di base la forza

di volontà, la capacità del soggetto di controllare,

rego-lare e adattare il comportamento nella maniera ottimale per l’individuo e per il raggiungimento degli obiettivi è

considerata la determinante principale della presenza o assenza di un vero DP. La Cooperativeness (C), esprime tolleranza sociale, empatia, disponibilità all’aiuto, alla compassione. Una bassa C è presente in tutte le categorie di DP. La Self-Trascendence (ST), si riferisce all’identifi-cazione con un insieme generale, una “coscienza uni-taria” nella quale ogni cosa è parte di una totalità. Que-sta prospettiva può essere descritta come accettazione, identificazione o unione spirituale con la natura e con la sua origine. È più bassa nei pazienti psichiatrici (indipen-dentemente dalla presenza o meno di DP) rispetto alla

popolazione generale.

Per la valutazione di questo modello è stato messo a

pun-to il Temperament and Character Inventory (TCI)  8, un

questionario di autovalutazione che, nella sua versione più completa (versione 9), è composto da 240 item a ri-sposta dicotoma (vero-falso). Di questi, 116 (di cui 89 ripresi direttamente dal TPQ e 27 aggiunti ex novo per migliorare l’affidabilità delle scale) esplorano le 4 dimen-sioni temperamentali (NS, HA, RD e P), 119 valutano le 3 dimensioni del carattere (SD, C e ST) e 5 sono indicatori della presenza di DP. La somma degli item segnati co-me “vero” fornisce il punteggio grezzo delle sette scale. I punteggi grezzi sono trasformati in punteggi standar-dizzati  T che, riportati su di un grafico, forniscono un profilo di personalità del soggetto. Del TCI esiste anche una versione ridotta, di 125 item, che è utilizzata come

strumento di screening per i DP 32 33.

2. Valutazione dimensionale della patologia di personalità

Il Dimensional Assessment of Personality Pathology

(DAPP) si basa su una vasta ricerca di tratti e comporta-menti, descritti dai clinici ed elencati in criteri diagnostici dalla letteratura specialistica, come fattori importanti per

l’insorgenza dei DP 34. Il modello DAPP è composto di 69

TAbeLLA II.

Descrizione delle dimensioni caratteriali secondo Cloninger. Description of the Cloninger’s character dimensions.

Dimensioni caratteriali Descrizione Self-Directedness

(auto-direttività) Identificazione di se stessi come individui autonomi Cooperativeness

(cooperatività)

Identificazione di se stessi come parte integrante di un gruppo sociale più o meno inclusivo, ma anche dell’umanità o della società

Self-Transcendence

(7)

“intelletto”, piuttosto che apertura all’esperienza. Sotto ogni fattore, si trova un grappolo di tratti specifici corre-lati. Ad esempio, estroversione include qualità correlate come: socialità, assertività, ricerca dell’eccitazione, calo-re, attività ed emozioni positive 39.

I fattori Big five e le loro caratteristiche costituenti pos-sono essere descritti secondo modalità dicotomiche (Tab. IV).

Uno degli obiettivi fondamentali di tutta la ricerca in psi-chiatria e in psicologia è stato quello di identificare i tratti e la struttura della personalità umana sana e patologica. Il modello FFM è un approccio empirico, globale, basato su dati provenienti dalla ricerca. I cinque grandi fatto-ri sono stati scoperti e definiti da molti gruppi

indipen-denti di ricercatori 40. Questi ricercatori hanno iniziato a

studiare i tratti della personalità con l’analisi fattoriale e, successivamente, su centinaia di misure di questi tratti, raccolte con questionari di autovalutazione o mediante misure obiettive in contesti sperimentali, hanno cercato di individuare i fattori generali alla base della personalità.

Nel 1961, Tupes e Christal 41 hanno presentato un

mo-dello iniziale che è restato poco conosciuto, in ambito le persone a comprendere i loro comportamenti,

rivalu-tando gli eventi di vita passati, identificando i modelli di comportamento ricorrenti e, persino, anticipando ulterio-ri problemi (Tab. III).

Il DAPP-BQ si è dimostrato affidabile (coerenza interna) e valido (validità convergente) nella descrizione della patologia di personalità. Il DAPP oltre a essere uno stru-mento utile per la descrizione dimensionale di patologia di personalità si è dimostrato di facile integrazione con le classificazioni categoriali in uso 38.

3. Il modello di personalità “Big Five”

Il modello di personalità Big five o five factors Model

(FFM), prevede cinque ampi domini o dimensioni di per-sonalità utilizzati per descrivere la perper-sonalità umana, sa-na o patologica. I grandi cinque fattori identificati sono: 1)  apertura (openness); 2)  coscienziosità

(conscientiou-sness); 3)  estroversione (extraversion); 4)  gradevolezza

(agreeableness); 5)  nevroticismo (neuroticism). Il fattore

nevroticismo è a volte indicato dal suo polo basso: “in-stabilità emotiva”. Qualche disaccordo rimane su come interpretare il fattore openness, che è talvolta chiamato

TAbeLLA III.

Dimensioni psicopatologiche valutate dalle scale DAPP-BQ. Psychopathological dimensions assessed by the DAPP-BQ scales.

Dimensioni psicopatologiche Descrizione

Labilità affettiva Le emozioni tendono a essere intense e instabili; frequenti cambiamenti di umore; reazioni emotive spesso estreme

Ansia Facile insorgenza di timori, paure o preoccupazioni

Insensibilità Disprezzo per i sentimenti e il benessere degli altri, mancanza di empatia e rimorso Compulsività Ricerca dell’ordine, bisogno di strutture sistematiche e organizzazione

Problemi di condotta Tendenza a mostrare una serie di comportamenti antisociali e disprezzo per le norme sociali Disregolazione cognitiva Il pensiero tende a diventare disorganizzato, soprattutto nei momenti di stress, con idee e

per-cezioni insolite

Problemi d’identità Instabile senso di sé o d’identità

Attaccamento insicuro Timore nelle relazioni affettive o d’attaccamento Problemi d’intimità Evitamento di ogni intimità

Affiliazione scarsa Disinteresse o evitamento attivo di relazioni sociali e contatti, distacco sociale Narcisismo Forte bisogno d’attenzione e approvazione

Oppositività Resistenza passiva alle aspettative di buona esecuzione delle attività attese Rifiuto Antagonismo, ostilità, critica

Espressione limitata Soggetti emotivamente distanti e non comunicativi

Self-Harm Tendenza agli atti d’autolesionismo, ricorrenti pensieri di suicidio

Ricerca degli stimoli Bisogno di eccitazione e stimolazione, ricerca di sensazioni, comportamento avventato e im-pulsivo

Sottomissione Anassertivi, diffidenti, necessitano degli altri per il sostegno, la guida e la rassicurazione Sospettosità Diffidenza verso altri, ipervigilanza verso i segni di minaccia interpersonale o di cattiva

(8)

effetti determinanti sul profilo individuale di personali-tà. Le persone che evidenziano alti livelli di Apertura, in genere, possono essere descritti come curiosi, aperti alle emozioni, interessati all’arte e bendisposti alle in-novazioni. Un particolare individuo, però, può avere un punteggio elevato di Apertura Generale, ma non essere interessato all’arte o alla poesia, oppure non essere ne-cessariamente interessato all’esplorazione di nuovi

am-biti culturali.

Le misure più diffusamente utilizzate nella valutazione

dei Big five comprendono sia elementi auto-descrittivi,

sotto forma di frasi sia elementi lessicali, sotto forma di

aggettivi 55 56. A causa della lunghezza delle valutazioni

basate su frasi o su descrizioni lessicali, sono stati svi-luppati e validati questionari in forma breve, per l’uso in contesti clinici o di ricerca, tra cui un International

English Big-five Mini-Marker a 40 item 57 o un Very Brief

Measure of the Big five Domains a 10 item 58.

Nel 1980 Costa e McCrae svilupparono il nEo

Inven-tory, uno strumento d’autovalutazione per lo studio di

tre fattori ortogonali di personalità, neuroticism (N),

Extraversion (E) e openness to experience (O) (nevroti -cismo, estroversione e apertura all’esperienza), ognuno articolato su sei aspetti. Nel 1985 furono aggiunte due

scale per la valutazione di Agreableness (A) e

Conscien-tiousness (C) (Disponibilità e Coscienziosità) e il nuovo

strumento prese il nome di nEo Personality Inventory (NEO-PI). Mediante l’analisi fattoriale dei dati raccolti con il NEO-PI furono isolati i 5 fattori e fu creata una scala ridotta, il NEO fivefactor Inventory (NEO-FFI)  59,

utilizzando i primi 12 item che saturavano

(positivamen-te o negativamen(positivamen-te) quei 5 fattori 27. Nel 1992, infine, gli

Autori hanno messo a punto la Revised nEo Personality

Inventory (NEO-PI-R) che comprende un certo numero

di item studiati appositamente per valutare, su basi scien-tifiche, la validità delle risposte su cui poggiano questi accademico, fino al 1980. Digman ha avanzato un suo

modello di personalità a cinque fattori, nel 1990,

model-lo che Goldberg ha, in seguito, implementato 40 42. Questi

cinque domini sono stati identificati come ampi conte-nitori della stragrande maggioranza dei tratti di persona-lità, rappresentandone così la struttura di base. I cinque fattori forniscono un quadro ricco sul piano concettuale per l’integrazione di tutti i risultati della ricerca clinica e delle diverse teorie avanzate in psicologia della

persona-lità. I Big five sono stati anche identificati nel modello

FFM di Costa e McCrae, nel 1992 23 27, e definiti “fattori

globali” di personalità da Russell e Karol nel 1994 43. Per

diversi decenni, in modo indipendente, hanno lavorato su questo problema diversi gruppi di ricerca, identifican-do sostanzialmente gli stessi cinque grandi fattori. Tupes e Christal sono stati seguiti dal gruppo di Goldberg  44,

da quello di Cattell 45 e da Costa e McCrae 46-48. I diversi

gruppi di ricerca hanno usato metodi diversi per identi-ficare i cinque fattori, quindi ogni gruppo ha scoperto i cinque fattori denominandoli e definendoli in modo leg-germente diverso. Tuttavia, tutti sono stati trovati essere, all’analisi fattoriale, altamente intercorrelati 49-53. Natural

-mente i cinque grandi fattori sono troppo ampi perché possano, da soli, spiegare o prevedere il comportamento individuale, mentre, in questo risultano molto più utili i tratti di livello inferiore. Molti studi hanno, infatti, confer-mato che, nel prevedere il comportamento reale, i tratti

di primo livello, più numerosi, sono molto più efficaci 54.

Nella descrizione di personalità del singolo individuo, questi tratti sono spesso presentati, come in antropome-tria fisica, sotto forma di punteggi percentili. Un punteg-gio di Estroversione al 20° percentile indica un sensibile bisogno di solitudine e tranquillità, mentre un punteggio di Coscienziosità all’80° percentile indica un forte senso di responsabilità e un forte bisogno d’ordine. Questi clu-ster di tratto vanno considerati aggregati statistici, senza

TAbeLLA IV.

I fattori “Big Five” di personalità e la loro descrizione. “Big five” factors of the personality and their description.

Fattori di personalità Descrizione dicotomica

Apertura

(openness) Ile emozioni, l’avventura, le idee insolite, le curiosità e la varietà delle esperienzenventivo/curioso/innovatore vs. coerente/prudente/conservatore con diverso apprezzamento per l’arte, Coscienziosità

(conscientiousness)

Efficiente/organizzato vs. facilone/trascurato con una diversa tendenza a mostrare l’autodisciplina, ad agire con lealtà e determinazione verso lo scopo, alla pianificazione dell’azione piuttosto che all’atto spontaneo

Estroversione (extraversion)

Estroverso/energico vs. solitario/riservato con diversa espressione di energia, emozioni positive, sponta-neità e tendenza a cercare stimoli in compagnia di altri

Gradevolezza

(agreeableness)

Amichevole/compassionevole vs. freddo/cattivo con diversa tendenza a essere compassionevole e coo-perativo piuttosto che sospettoso e ostile verso gli altri

Nevroticismo

(9)

di PSY-5 e una serie di scale per DP basate sul MMPI-2 hanno fornito ulteriori prove di validità convergente e

di-scriminante 67. Ciascuno di questi modelli dimensionali è

stato esaminato in relazione ai dieci DP nel DSM-IV-TR. In particolare in uno studio è stata esaminata la validità comparativa di questi modelli nel predire i sintomi per le dieci patologie di personalità DSM. Utilizzando strumen-ti d’autovalutazione, con analisi di correlazione e con analisi di regressione lineare è stato evidenziato che tutti e tre i modelli presentavano associazioni statisticamente significative con i sintomi di DP. La regressione lineare ha rivelato che il modello a 18 fattori (DAPP) aveva va-lidità predittiva superiore al modello FFM e al modello

a sette fattori di Cloninger per tutti e dieci i DP DSM 25.

5. Integrazione dei modelli dimensionali: quattro fattori comuni

I modelli dimensionali di personalità e di patologia del-la personalità pur essendo non sovrapponibili sono più simili tra loro di quanto non siano diversi  68. Numerosi

modelli dimensionali di tratto concorrenti sono stati con-frontati per l’inclusione probabile nella definizione dia-gnostica del DP nella prossima edizione del DSM. Diver-se dimensioni sono state elaborate nei numerosi modelli messi a confronto 5 69-71.

Nei diversi modelli sono stati assegnati, spesso, nomi di-versi a dimensioni di personalità simili. Talvolta, invece, le dimensioni proprie di alcuni approcci teorici posso-no corrispondere a combinazioni di dimensioni in altri modelli. Per esempio, i principali modelli propongono una dimensione che rappresenta disregolazione

emozio-nale/affettività negativa/nevroticismo. Allo stesso modo,

i diversi modelli includono una dimensione collegata a

estroversione/emotività positiva e una dimensione più

ri-levante sul piano interpersonale relativa a

comportamen-to dissociale/antagonismo. L’affinità tra le dimensioni co-strizione/compulsività/coscienziosità è più che evidente.

Quando i principali modelli dimensionali di personalità e di patologia della personalità sono stati confrontati em-piricamente, queste dimensioni “condivise” sono emerse

chiaramente 4 26 72 73. Potrebbe essere tempo per i

“dimen-sionalisti” d’esplorare il modo in cui questi diversi mo-delli si confrontano l’un l’altro nella gerarchia di tratto, così come d’iniziare a integrare le scoperte empiriche, circa il ruolo di specifici fattori genetici, neurobiologi-ci e psico-soneurobiologi-ciali nella formazione della personalità e

nell’eziopatogenesi dei DP 74.

Verso DSM-V e oltre

Negli ultimi anni sono state raccolte numerose e chiare evidenze sperimentali a favore dei modelli dimensionali di patologia della personalità (personopatie) mentre po-strumenti (a partire dal NEO-PI). Il five-factor Model of

Personality di Digman (1990) si è dimostrato nel tempo

un modello universale e di notevole rilevanza pratica. Gli Autori hanno individuato 30 “caratteristiche” che, sulla base dell’esperienza clinica, meglio si prestano a definire i grandi cinque fattori di personalità 23 27 40 46-48. È

stato dimostrato che tutti i DP descritti dal DSM-III sono correlati a uno o più dei cinque fattori e che questi fattori possono spiegare alcuni importanti aspetti dei DP, anche se non tutti 60.

Il modello a cinque fattori di personalità è uno strumento diffuso e conosciuto, utile per concettualizzare i princi-pali tratti di personalità. I cinque settori principrinci-pali di que-sto modello sono indicati anche come: 1) nevroticismo

vs. stabilità emotiva; 2)  estroversione vs. introversione;

3) apertura vs. chiusura (closedness) all’esperienza;

4) so-cievolezza (agreeableness) contro antagonismo

interper-sonale; 5) coscienziosità contro negligenza. La struttura gerarchica dei tratti FFM (con domini d’ordine superiore e sfaccettature d’ordine inferiore), è stata replicata su po-polazioni cliniche e non cliniche, nonché in diverse

cul-ture 61. Inoltre, l’evidenza suggerisce una base ereditaria

e biologica sia per gli aspetti di ordine superiore sia per

le sfaccettature dei tratti di personalità FFM 62. Ciò

indi-ca che queste indi-caratteristiche possono essere importanti fattori eziologici, con implicazioni per il trattamento. Un gran numero di studi ha dimostrato i rapporti tra costrutti FFM e disturbi categoriali di personalità  27. La maggior

parte dei DP sono associati ad alti livelli di nevroticismo, introversione, antagonismo e negligenza. Ancora più im-portante, sembra che la patologia di personalità, descritta in termini non categoriali (personopatia), nel singolo in-dividuo, può essere descritta già a livello delle relazioni esistenti tra le sfaccettature di tratto 63-65.

4. Confronti sperimentali tra modelli dimensionali di patologia della personalità

In un recente studio è stata investigata la validità del mo-dello psicobiologico di Cloninger e del momo-dello a cinque fattori di personalità nel predire i DP secondo il DSM-IV. Nessun dei due modelli dimensionali si è rivelato

supe-riore all’altro  24. L’analisi fattoriale confermativa (CFA)

è stata utilizzata per determinare se la struttura latente sottostante gli elementi che compongono il Minnesota

Multiphasic Personality Inventory 2 (MMPI-2) Personali-ty Psychopathology five Scales 66 era rappresentativa del

(10)

dimensionali potranno prevedere, in futuro, non solo

adeguati cut-off ma anche specifici algoritmi decisionali.

Nella misura in cui i modelli dimensionali risulteranno capaci di fornire una descrizione più affidabile e vali-da della personalità, questi modelli saranno preferiti vali-da clinici e ricercatori. Si pone, però, la questione di come possano essere stabiliti obiettivamente e condivisi i valori

di cut-off 78. La maggior parte dei clinici e dei ricercatori è

d’accordo nel considerare la patologia di personalità non semplicemente un insieme di rilievi quantitativi su pochi specifici tratti. I tratti di personalità, infatti, sono ritenuti disadattivi solo se causano disagio significativo o meno-mazione all’individuo, nel suo contesto socio-culturale.

Quindi, un punteggio di cut-off che indichi solo il

supe-ramento di un certo livello di un tratto non è sufficiente. Un soggettivo disagio (distress) o una soggettiva

meno-mazione (impairment) deve essere associata con il tratto

in questione, ma cosa costituisce un disagio “significa-tivo” o una menomazione “invalidante”? Sarà necessa-rio lavorare sullo sviluppo di valide misure dell’angoscia correlata ai tratti di personalità, misure indispensabili, in questa prospettiva, per definire la personopatia propria-mente detta. Un’altra questione importante è l’ampiezza

della copertura diagnostica 78. È improbabile che i 10

di-sturbi “ufficiali” di personalità, secondo il DSM-IV-TR, rappresentino tutte le forme di patologia della personalità

che il medico si trova a trattare 79. Non a caso il DP non

altrimenti specificato (DP-NAS) rappresenta una delle diagnosi più frequenti, in molti e diversi contesti clinici. Ciò indica la necessità di prevedere altri DP nella no-menclatura diagnostica categoriale oppure, più opportu-namente, l’adozione di modelli dimensionali, non stret-tamente correlati alle descrizioni DSM di DP, che possa facilitare la definizione di diverse e nuove personopatie, nonché ulteriori ricerche su questo tema. È probabile che importanti quadri di patologia della personalità (ad esem-pio, che fine hanno fatto i disturbi da personalità multi-pla?) siano stati trascurati proprio a causa dell’adesione al sistema diagnostico DSM. In ciò i modelli dimensionali possono offrire evidenti vantaggi.

Rapporti tra disturbi di personalità

e psicopatologia

Personalità e psicopatologia possono relazionarsi tra loro in almeno tre modi diversi:

1. possono avere un ruolo propriamente eziologico o

causale nello sviluppo l’uno dell’altro;

2. la personalità e la psicopatologia possono esercitare

reciprocamente un ruolo patoplastico, influenzando l’una la presentazione clinica dell’altra;

3. possono condividere una comune sottostante

eziopa-togenesi (rapporti di continuum psicopatologico o di spettro) 80-84.

che prove convincenti sono risultate favorevoli al mo-dello categoriale di descrizione diagnostico-statistica dei DP. Un approccio dimensionale risolverebbe i proble-mi del sistema categoriale DSM-IV-TR circa i DP, tra cui l’eccessiva e artefatta comorbidità, l’eterogeneità clinica dei pazienti inseriti nella stessa categoria diagnostica, le distinzioni diagnostiche talora inconsistenti e illusorie, nonché la scarsa descrittività della popolazione clinica nel suo insieme. Si pone, naturalmente, la questione di quale sistema dimensionale adottare. Come già

accen-nato, c’è un certo accordo generale per la rilevanza di

almeno quattro domini principali di funzionamento della personalità chiaramente legati alla patologia di persona-lità: 1)  nevroticismo/affettività negativa/disregolazione emozionale; 2) estroversione/emotività positiva; 3) com-portamento dissociale/antagonismo;

4) costrizione/com-pulsività/coscienziosità 6. Questi domini di tratto di

per-sonalità sono stati studiati per decenni e hanno dimostra-to di essere importanti, tandimostra-to nella personalità normale, quanto in quella patologica. Gli individui possono essere descritti usando le dimensioni maggiori, ma anche uti-lizzando le sfaccettature o sottotratti (subtraits) di queste dimensioni. Tale descrizione è coerente con l’evidenza che le caratteristiche di personalità degli individui dif-feriscono in grado, non in natura. Inoltre, la ricerca ha evidenziato chiari correlati psicosociali, neurobiologici e genetici di questi tratti. L’integrazione di questi risul-tati della ricerca può essere di grande importanza nel-la ricerca dei fattori eziopatogenetici sottesi al disturbo, magari orientando specificamente il trattamento della

pa-tologia 74. È probabile che il passaggio dalla descrizione

categoriale dei DP a una descrizione dimensionale, più solidamente fondata sull’evidenza, apra prospettive rivo-luzionarie, nella descrizione clinico-diagnostica, in ogni ambito della psichiatria. Resta, tuttavia, ancora remota l’adozione condivisa e diffusa di un modello nale di patologia di personalità. La prospettiva dimensio-nale dovrà essere accettata sia dagli psicopatologi, che studiano tali disturbi, sia dai clinici, che valutano e tratta-no queste condizioni 75-77.

Esistono ancora diverse questioni da risolvere. Molti per-cepiscono i modelli dimensionali come più ingombranti e meno intuitivi nell’uso clinico. Molti preferiscono i si-stemi categoriali, perché le decisioni cliniche richiedono scelte dicotomiche (diagnosi sì o no, trattamento sì o no). In realtà, un sistema dimensionale di diagnosi è utile in clinica perché si può facilmente convertire in un modello

categoriale, applicando punteggi cut-off e punteggi

“so-glia”. Non è possibile, invece, convertire agevolmente un sistema categoriale in senso dimensionale. Secondo

Wi-diger et al. 5 il campo dei DP dovrebbe essere

(11)

Tutti i DP possono, infatti, essere varianti disadattive di tratti generali di personalità e alcuni DP potrebbero es-sere solo l’insorgenza precoce o la variante pervasiva e

cronica di altri disturbi mentali 81-83. Un rapporto di

spet-tro può esistere anche tra DP e altri disturbi mentali. In realtà, per il DSM-V è stato proposto addirittura di ab-bandonare del tutto la classificazione dei DP, riportando i DP all’interno delle altre diagnosi di Asse I  91.

Psicopatologia dimensionale

Con l’avvento del DSM-III, nel 1980, nel contesto della psicopatologia moderna, le sindromi cliniche sono state separate dai DP. Questa divisione ha portato alla rileva-zione di una sostanziale sovrapposirileva-zione tra i disturbi di Asse I (sindromi cliniche) e disturbi di Asse II (DP), ma ha anche evidenziato una sostanziale continuità di spet-tro tra aspetti di personalità normale e patologica. Anna Lee Clark nel 2005 ha cercato una base unificante, per

DP e psicopatologia, nel temperamento 92. Dal suo punto

di vista la personalità e la psicopatologia possono esse-re visti come domini coresse-relati, sebbene la natura pesse-recisa di questa correlazione resti poco chiara. L’autrice, sulla base di un’ampia letteratura scientifica su questi temi, ha proposto un quadro integrativo per spiegare le relazioni tra personalità e psicopatologia basandosi sui tempera-menti. Tre principali innate dimensioni di temperamento sono state identificate e descritte: 1) affettività negativa; 2) affettività positiva; 3) disinibizione. Secondo Clark, la loro differenziazione avverrebbe durante i processi dello sviluppo, modulati da fattori sia biologici sia ambientali. I tratti, alla base della struttura di personalità, inoltre, po-trebbero essere considerati fattori di rischio (diatesi) per la psicopatologia, soprattutto in rapporto a esperienze di vita sfavorevoli (stress). Il concetto di tratto è stato ampia-mente utilizzato nella ricerca psicopatologica, ma gran parte di questa ricerca ha preso in considerazione solo le implicazioni sulla struttura dimensionale di personalità. Molti critici hanno sottovalutato l’importanza di questa ricerca strutturale, sostenendo che: 1) pochi progressi so-no stati compiuti in questo settore; 2) i modelli strutturali hanno poca rilevanza diretta per la ricerca psicopatologi-ca; 3) il principale strumento metodologico della ricerca strutturale, l’analisi fattoriale, è poco utile nel fornire ri-sultati significativi sul piano clinico. Watson et al. hanno contrastato ciascuna di queste obiezioni. In particolare, hanno offerto un modello integrativo gerarchico, compo-sto di 4 tratti, congruente con una visione integrata della struttura di personalità. Le implicazioni di questo sche-ma integrativo di tratto per la ricerca di base, per la con-cettualizzazione e la valutazione della psicopatologia e

nella ricerca eziologica delle malattie mentali erano già

evidenti, nel 1994 93.

Alcuni Autori hanno fornito un resoconto completo Ognuna di queste possibili forme d’interrelazione

pre-senta significative e specifiche implicazioni teoriche e cliniche 85.

1. Rapporti eziopatogenetici

Di primaria importanza per clinici e ricercatori è il rap -porto eziopatogenetico eventualmente esistente tra per-sonalità e psicopatologia. Questa relazione causale può essere bidirezionale. Il proprio caratteristico modo di pensare, sentire, comportarsi e relazionarsi con gli altri può contribuire allo sviluppo di un disturbo mentale, proprio come una malattia mentale grave o cronica può contribuire a fondamentali e persistenti cambiamenti di personalità. Gran parte della vasta letteratura sul rappor-to tra personalità o DP e quadri psicoparappor-tologici descrive gli effetti della personalità nella genesi dei disturbi men-tali. I tratti di personalità premorbosa in grado di fornire una vulnerabilità (o una resistenza) allo stress, aiutano a spiegare perché alcune persone crollano sotto gli stress della vita, mentre altre rimangono illese da situazioni

for-temente traumatiche 74.

Il nevroticismo, per esempio, è un predittore particolar-mente robusto di future risposte psicopatologiche agli stress della vita. Il contributo del nevroticismo allo svi-luppo di problemi di salute fisica, all’insorgere di diffi-coltà finanziarie, al rompersi dei rapporti interpersonali e ad altri eventi negativi di vita si traduce, talora, in una notevole mole di stress, al quale le persone con alto

ne-vroticismo sono già intrinsecamente più vulnerabili 86 87.

2. Patoplasticità

L’influenza della personalità sulla presentazione, l’aspet-to o l’espressione della psicopal’aspet-tologia o viceversa può esser concettualizzata come un rapporto tipicamente pa-toplastico. Questa relazione è bidirezionale, in quanto la psicopatologia può variare nel suo aspetto a seconda dei tratti della personalità premorbosa di una persona. La comparsa di specifici tratti di personalità può allo stesso modo essere influenzata dalla presenza di una psicopa-tologia persistente in comorbidità. Il sostegno empirico a quest’ipotesi è fornito da studi che indicano la presenza di tratti di personalità di tipo perfezionistico e compul-sivo in persone con anoressia, così come tratti di

perso-nalità impulsiva nei soggetti bulimici 88. Uno dei rapporti

più ben documentati tra personalità e psicopatologia è l’effetto patoplastico della psicopatologia sull’aspetto, la

presentazione o la percezione della personalità 89 90.

3. Relazioni di spettro

(12)

Conclusioni e prospettive

La ricerca sulla psicopatologia è a un bivio storico. Le nuove tecnologie offrono la promessa di progressi dura-turi nella nostra comprensione delle cause della sofferen-za psichica umana. Per fare il miglior uso di queste nuo-ve tecnologie è necessario, tuttavia, un modello empiri-co accurato di psiempiri-copatologia. Gran parte della ricerca corrente è basata sul modello di psicopatologia, definito nelle diverse edizioni DSM. Sebbene esse siano state fon-damentali nel portare avanti la ricerca in psicopatologia, il progresso della ricerca sta minando le ipotesi di fondo su cui è costruito il sistema diagnostico categoriale DSM, cioè che tutte le forme di psicopatologia siano entità no-sografiche diverse e discrete.

Le neuroscienze hanno un ruolo fondamentale, in quest’ambito, per le implicazioni conseguenti ai nuovi sviluppi della ricerca e le sfide concettuali che ne deri-vano. In particolare, in un prossimo futuro, le prospettive della ricerca genetica sul comportamento e sullo svilup-po dei tratti di personalità svilup-potrebbero essere fondamenta-li per informare lo sviluppo di un modello dimensionale empirico di psicopatologia che costituirebbe

un’evolu-zione del DSM 99. Le categorie politetiche, su cui è stata

costruita la psicopatologia moderna, sono state inten-samente studiate alla ricerca di un’eziopatogenesi alla

base delle specifiche psicopatologie categoriali DSM 100.

Queste ricerche hanno dimostrato che le categorie dia-gnostiche erano solo descrizioni sindromiche e non rappresentavano genuine entità patologiche, con sottesi comuni meccanismi eziopatogenetici. Inoltre le catego-rie DSM presentavano limitazioni significative, come la comorbidità sostanziale tra categorie distinte e una forte eterogeneità all’interno della stessa categoria. La ricerca si è, perciò, concentrata su obiettivi diversi dalle

catego-rie politetiche DSM, già da qualche decennio 101-106.

Gli obiettivi della ricerca di genetica molecolare sono di-ventati i comportamenti umani, piuttosto che le diagnosi categoriali. In particolare, le strategie perseguite in epide-miologia genetico-molecolare umana hanno evidenziato i vantaggi concettuali derivanti dall’adozione dei fenotipi dimensionali. I fenotipi dimensionali si sono dimostrati di utilità nella caccia ai polimorfismi genetici associati con il rischio e/o la resistenza alle malattie mediche. Questi approcci sembrano promettenti anche in ambito psico-patologico per una migliore comprensione delle varianti specifiche molecolari che contribuiscono sia al rischio sia alla resistenza.

Non si può non essere ottimisti sul futuro dei modelli dimensionali di patologia della personalità. Negli ultimi due decenni, i ricercatori hanno dimostrato che i princi-pali modelli dimensionali, basati sui tratti di personalità, sono effettivamente utili nella pratica clinica e stimolanti sul piano scientifico. Sono state identificate, così, quat-del significato di comorbidità tra i disturbi mentali quat-del

DSM-IV. Il loro contributo include il confronto delle ipo-tesi circa la sequenza di sviluppo delle comorbidità  81.

Un’ipotesi è che i disturbi specifici siano coinvolti in

specifici modelli di sviluppo della comorbidità 82 83. Per

esempio, un disturbo ossessivo-compulsivo può, in gene-re, essere un disturbo primario, che porta chi ne è affetto ad avere pochi contatti sociali a causa della natura de-bilitante dei sintomi. La diminuita partecipazione socia-le, in genere, contribuisce allo sviluppo di un episodio depressivo maggiore, secondario, in persone che hanno una diagnosi primaria di disturbo ossessivo-compulsivo. Numerose evidenze cliniche rendono plausibile questo modello interpretativo. Un’ipotesi contrastante è che i modelli specifici di associazione tra i disturbi nel corso del tempo siano istanze specifiche di processi più gene-rali. Questa ipotesi prevede l’esistenza di fattori ezio-logici e patogenetici comuni all’espressione di diverse entità psicopatologiche, presenti nello stesso paziente in comorbidità, anche se si manifestano in sequenze tem-porali diverse e specifiche 94 95.

La valutazione empirica delle strutture latenti dimen-sionali e categoriali sta diventando di fondamentale im-portanza in clinica e in psicopatologia. L’imim-portanza di sviluppare un accurato sistema di classificazione per la psicopatologia è stata da tempo riconosciuta, anche se gran parte di questo lavoro è iniziato dando preferenza “a priori” ai costrutti categoriali, rispetto a quelli dimen-sionali. I più recenti progressi statistici permettono ora di confrontare empiricamente i modelli di psicopatolo-gia categoriali rispetto a quelli dimensionali. I modelli di classificazione possono essere basati su evidenze empi-riche piuttosto che su preferenze “assiomatiche”. Men-tre i sistemi di classificazione attuali concettualizzano i disturbi mentali in termini di entità distinte, essi possono essere meglio concettualizzati come dimensioni psicopa-tologiche con ricadute cliniche, di ricerca e di

trattamen-to moltrattamen-to positive 96 97. Si sta andando verso un approccio

dimensionale e psicometrico alla concettualizzazione in psicopatologia. La maggior parte delle ricerche moderne sulla psicopatologia è inserita in un modello categoriale dei disturbi mentali, come il DSM. Tuttavia, il modello categoriale proposto da DSM non è compatibile con nu-merose e robuste osservazioni empiriche, circa le varian-ti psicopatologiche, come la forte tendenza, che disturbi mentali putativamente distinti tendano a verificarsi nelle stesse persone. L’obiettivo di alcuni studiosi è diventato,

di recente, il delineare una potenziale alternativa all’ap -proccio categoriale del DSM: un ap-proccio dimensiona-le e psicometrico per concettualizzare e studiare tutta la psicopatologia. Alcune tecniche statistiche moderne pos-sono essere utilizzate proficuamente nell’ambito della

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