Scuola di Dottorato in Studi Giuridici Comparati ed Europei
XXI ciclo
Tesi di Dottorato
La funzione dei diritti collettivi originari di
natura dominicale nei sistemi costituzionali
italiano e brasiliano
Relatore
Prof. Nicola Lugaresi
Dottorando
Eugenio Caliceti
candidato: Eugenio Caliceti
LA FUNZIONE DEI DIRITTI
COLLETTIVI ORIGINARI DI
NATURA DOMINICALE NEI
SISTEMI COSTITUZIONALI
ITALIANO E BRASILIANO
Relatore Prof. Nicola Lugaresi
Curriculum di Scienze pubblicistiche
XXI ciclo
Esame finale:
09/04/2010
Commissione esaminatrice:
Un ringraziamento al Prof. Lugaresi, al Prof. Treccani e al Prof. Nervi per la disponibilità dimostrata. Ringrazio La Fondazione Caritro per aver sostenuto il progetto di ricerca da cui nasce il presente lavoro, Heloisa, Raquel e
Cristina per la calda accoglienza riservatami. Un grazie a Mara, Gioia, Sally e Michele, il cui aiuto è stato fondamentale per concludere il percorso
INDICE
Pag.
ABSTRACT ... 5
NOTA INTRODUTTIVA ... 7
CAPITOLO PRIMO LE FUNZIONI DELLE PROPRIETÀ NEI SISTEMI COSTITUZIONALI ITALIANO E BRASILIANO 1. Per un rinnovato discorso sulle funzioni delle proprietà: questione proprietaria e forma di Stato ... 11
2. Le forme di Stato degli ordinamenti italiano e brasiliano ... 21
2.1. La forma di Stato della Repubblica italiana ... 21
2.2. La forma di Stato della Repubblica federale del Brasile ... 34
3. Le proprietà negli ordinamenti costituzionali italiano e brasiliano ... 51
4. Modelli e funzioni delle proprietà negli ordinamenti italiano e brasiliano ... 71
CAPITOLO SECONDO LE ISTITUZIONI APPROPRIATIVE COLLETTIVE NELL’ORDINAMENTOGIURIDICOMODERNO 1. L’istituzionalizzazione dell’appropriazione collettiva originaria: storia di un conflitto moderno ... 89
2. L’istituzione appropriativa collettiva: una nozione descrittiva ... 98
CAPITOLO TERZO
GLI ISTITUTI DELL’APPROPRIAZIONE COLLETTIVA
ORIGINARIA E LA LORO FUNZIONE
1. Il diritto collettivo originario di natura dominicale: gli elementi
costitutivi di un concetto giuridico ... 135
2. La proprietà definitiva dei remanescentes delle comunità quilombolas ... 147
2.1. L’art. 68, ADCT: i termini di un’applicazione problematica ... 147
2.2. La precedenza temporale della proprietà «quilombola»: l’art. 68, ADCT, come usucapione speciale ... 150
2.3.L’art. 68, ADCT, come usucapione speciale: profili critici ... 152
2.4. La precedenza logico-sistematica della proprietà «quilombola»: l’art. 68, ADCT, come appropriazione originaria ... 154
2.5. La normativa vigente: l’art. 68, ADCT, e il «Decreto Presidencial» 20 novembre 2003, n. 4887 ... 158
2.6. L’interpretazione della disciplina vigente nel sistema costituzionale ... 163
2.7. Il regime vincolato dei beni titolati ex art. 68, ADCT, e artt. 215, 216, CRFB ... 168
3. Il possesso permanente sulle terre occupate tradizionalmente dai popoli indígenas ... 173
3.1. L’interpretazione dell’articolo 231, CRFB, tra l’istituto dell’«indigenato» e la teoria del fatto «indígena» ... 173
3.2. Le terre tradizionalmente occupate: i criteri di individuazione ... 180
3.3. Il regime giuridico delle terre tradizionalmente occupate ... 187
3.4. La natura ed il contenuto dei diritti «indígenas» ... 192
4. I diritti di uso civico e di promiscuo godimento ... 198
4.1. Il concetto di diritto di uso civico e di promiscuo godimento ... 198
4.2. La struttura dei diritti di uso civico e di promiscuo godimento ... 216
4.3. La natura dei diritti di uso civico e di promiscuo godimento: il fondamento storico e logico-sistematico ... 221
4.4. Il regime dei beni gravati da diritti di uso civico e di promiscuo godimento ... 227
italiano e brasiliano ...
5.1. La funzione dei diritti collettivi originari di natura dominicale nei
sistemi costituzionali italiano e brasiliano ... 240 5.2. I diritti collettivi originari di natura dominicale e il principio dello
sviluppo sostenibile: per un’integrazione del modello proprietario collettivo nel sistema costituzionale delle proprietà ...
252
CONCLUSIONI ... 267
TAVOLA ACRONIMI ... 281
ABSTRACT
Il presente lavoro si propone di analizzare criticamente la funzione dei diritti
collettivi originari negli ordinamenti brasiliano e italiano. Il concetto - proposto per
definire i diritti imputati ad una collettività, aventi ad oggetto un patrimonio
collettivo, sul quale si esercitano diritti individuali discendenti da un fattore di
appartenenza - è utile per sintetizzare una serie eterogenea di istituti, recepiti o
positivizzati nei rispettivi ordinamenti. I diritti di uso civico o di promiscuo
godimento, la proprietà definitiva quilombola, il possesso indígena, costituiscono le specifiche figure giuridiche analizzate. A fronte dell’eterogeneità che
contraddistingue sia le istituzioni storiche appropriatesi collettivamente delle risorse
territorialmente pertinenziali, sia le figure giuridiche predisposte per riconoscerne e
regolarne l’esistenza nell’ordinamento moderno, ci si propone in questa sede di
individuare un principio giuridico a partire dal quale operare una loro sintesi in un
quadro concettualmente unitario. A partire dal medesimo principio si vuole, quindi,
analizzare la funzione che il modello proprietario collettivo, di cui gli istituti
analizzati sono espressione, assume nei rispettivi ordinamenti, entrambi ascrivibili al
NOTA INTRODUTTIVA
IIl presente lavoro nasce come naturale prosecuzione del percorso svolto
elaborando la tesi di laurea, durante il quale si è avuto modo di approfondire il diritto
della (in senso oggettivo) e alla (in senso soggettivo) riforma agraria
nell’ordinamento brasiliano.
La metabolizzazione del nuovo quadro assiologico istituito con la
Costituzione democratica del 1988 sta lentamente producendo una rilettura
dell’ordinamento giuridico cui non si sottrae l’istituto di proprietà, seppur forti siano
le resistenze culturali e politiche al processo di relativizzazione del modello
dominativo vissuto non molti decenni addietro anche nelle esperienze giuridiche
continentali di tradizione romanista.
Il mutamento paradigmatico introdotto formalmente con il riconoscimento,
nel dispositivo costituzionale, della funzione sociale della proprietà e, nello specifico,
della proprietà agraria, è stato sostanzialmente recepito anche grazie ad un’ampia
circolazione dei modelli dottrinali elaborati, nell’ordinamento italiano, per
comprendere la proprietà nel nuovo ordine costituzionale repubblicano. Questo è
stato il quadro di riferimento nel quale contestualizzare gli strumenti giuridici
approntati, nell’ordinamento brasiliano, per promuovere un intervento di
riorganizzazione fondiaria orientato a principi di equità e giustizia sociale.
Analizzando il sistema costituzionale della proprietà brasiliano ho potuto
rilevare l’esistenza di uno statuto proprietario che si distingue per una marcata specialità. L’assetto strutturale si basa, infatti, su di una condominialità che rifugge la
logica della tradizione romanistica. Il titolo è collettivo e indivisibile, i diritti
imprescrittibili e derivanti dall’appartenenza a un gruppo, le terre sottoposte ad un
regime di natura pubblicistica che ne prevede l’inalienabilità e l’inusucapibilità. La
marcata specialità del regime cui i diritti e i beni sono sottoposti viene confermata da
I Nel presente elaborato sono stati tradotti in italiano i testi delle disposizioni legali brasiliani, mentre
un ulteriore elemento. Questi diritti collettivi sono titolati a gruppi riconosciuti come
differenti - i remanescentes delle comunità quilombola - sulla base di argomentazioni parzialmente divergenti nella misura in cui a pronunciarsi siano giuristi, politologi,
sociologi o antropologi.
L’oggetto della tesi è stato quindi individuato assecondando il naturale
interesse per forme che ricordano, in maniera evidente, i tratti degli istituti che,
nell’ordinamento italiano, veicolano la permanenza di un modello proprietario
collettivo. Tale interesse è naturale in quanto la conoscenza di istituzioni proprietarie
collettive deriva, prima che dall’acquisizione di nozioni tecniche apprese nelle aule di facoltà, dall’appartenere originariamente ad una delle Istituzioni sopravvissute all’avvento della modernità: la Magnifica Comunità di Fiemme.
Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire, negli ordinamenti
italiano e brasiliano, quei diritti collettivi che nel presente lavoro si qualificano come
originari e dominicali, sono numerose. In primo luogo volevo verificare in che
misura alla diversità delle figure giuridiche predisposte in ciascun ordinamento (usi
civici in senso stretto, domini collettivi, comunioni familiari montane, proprietà
quilombola, possesso indígena) si potesse contrapporre una loro funzione costante nel sistema costituzionale della proprietà. In secondo luogo volevo poi accertare se
fosse possibile ridurre la contingente diversità degli istituti rilevando un medesimo
principio giuridico riconducibile organicamente ad un quadro assiologico condiviso
dalle rispettive costituzioni, quali espressioni del costituzionalismo
democratico-sociale. In terzo luogo mi proponevo di criticare e superare, sulla base di una
auto-sufficienza del sistema assiologico costituzionale, i limiti che un’applicazione
politica e arbitraria del principio giuridico sotteso agli istituti di proprietà collettiva
pone all’integrazione nell’ordinamento di diritti tuttora relegati ai margini del
sistema, in quanto acquisiti per fatto storico (ordinamento italiano), o riconosciuti
soggettivamente sulla base di una diversità etnico-culturale (ordinamento brasiliano).
L’indagine è stata condotta nella consapevolezza di come - in un contesto
caratterizzato dalla progressiva scarsità di beni fondamentali alla vita e, di
conseguenza, dalla progressiva valenza economica che essi vengono ad assumere in
nuova questione proprietaria si debba rispondere con strumenti alternativi alla logica
individualistica, da cui l’interesse per la sua declinazione collettiva.
Queste in estrema sintesi le questioni da cui muove il presente lavoro.
Nel primo capitolo, si delineerà una ricostruzione dei principi
dell’ordinamento, rilevando la forma di stato impressa nei due sistemi costituzionali,
alla luce dei quali analizzare la funzione del diritto di proprietà.
Nel secondo capitolo si evidenzieranno le dinamiche che hanno condotto non
tanto alla nascita di un’appropriazione collettiva, ma alla sua istituzionalizzazione nei
conflitti sorti contestualmente alla modernità. Si definiranno, poi, gli elementi
caratterizzanti le istituzioni appropriative collettive, esponendo le ragioni che
giustificano la riduzione di questo complesso universo ad una trattazione giuridica
unitaria.
Nel terzo capitolo si procederà delineando - nell’assenza di una nozione
univoca di “proprietà collettiva” - i concetti di “diritto collettivo originario di natura
dominicale” e di “diritto originario di uso”, categorie analitiche che si propongono
per trasporre, in ambito giuridico, il complesso assetto rilevato nel tratteggiare una
nozione di istituzione appropriativa collettiva. Questi concetti si presentano utili per
descrivere i caratteri costitutivi comuni agli istituti proprietari collettivi che si
prenderanno in considerazione con riferimento al loro fondamento
logico-sistematico, al regime dei diritti collettivi e individuali, e, infine, al regime giuridico
dei beni su cui essi gravano. Alla descrizione delle specifiche figure giuridiche
seguirà l’individuazione della funzione loro attribuita attualmente nei rispettivi
ordinamenti, per valutare in che misura il modello proprietario collettivo, di cui sono
espressione, possa essere integrato nel sistema costituzionale della proprietà.
Se, attualmente, la sfida da raccogliere è costituita dal perseguire la piena
integrazione dei diritti collettivi originari nell’ordinamento giuridico, quale modello
alternativo e complementare al modello proprietario individualista, l’obiettivo che si
pensa di poter raggiungere invece nel presente lavoro è molto più modesto:
contribuire in una prospettiva trasnazionale ad un dibattito nel quale si possa
discutere delle istituzioni appropriative collettive sulla base di un medesimo
linguaggio giuridico, mettendo in relazione esperienze culturalmente percepite come
un’insuperabile alterità. Questa è la precondizione affinché la circolazione di
strumenti argomentativi possa facilitare quella decostruzione e conseguente
ricostruzione di significato attraverso cui si rinnova, seppur lentamente, la tradizione
CAPITOLO PRIMO
LE FUNZIONI DELLE PROPRIETÀ NEI SISTEMI
COSTITUZIONALI ITALIANO E BRASILIANO
1. Per un rinnovato discorso sulle funzioni delle proprietà: questione proprietaria e forma di Stato
Nel diritto di proprietà1 è riposto uno dei concetti che, senza dubbio, hanno
costitutivamente caratterizzato la tradizione giuridica continentale, non solo per
essere stato il principale strumento giuridico preposto alla regolazione del fenomeno
appropriativo, ma anche per aver caratterizzato trasversalmente gli assetti politici e
sociali sottesi all’ordinamento giuridico2
. Per mezzo di esso si è governato il conflitto
sociale, definendo equilibri istituzionali capaci di regolare la connaturata
inclinazione umana al compiere, attraverso gesti appropriativi, atti di volontà.
L’importanza assunta dal diritto di proprietà viene solo parzialmente ridimensionata
da una sua progressiva crisi3 o marginalizzazione4 nell’attuale sistema
1 Nel presente elaborato si utilizzerà il termine di “diritto” per definire la proprietà come concetto
giuridico, mentre per “istituto” si intenderà la trasposizione del concetto in termini di contenuti e di struttura (poteri, obblighi, limiti riferiti allo statuto del diritto concretamente inteso). Istituto e diritto di proprietà costituiscono due dimensioni interrelate, che trovano il proprio punto di congiuntura nella funzione assunta dal diritto, e di conseguenza dall’istituto, nel sistema giuridico.
La distinzione non è sconosciuta a una storiografia della proprietà, essendo stata elaborata, ad esempio, per risolvere, a cavallo tra Ottocento e Novecento, le antinomie esistenti tra un modello dell’istituto ancora ispirato al dominio diviso - tramandato dalla tradizione del diritto comune - ed il concetto del diritto postulato dal nuovo individualismo possessivo. Cfr. P. GROSSI, Tradizioni e modelli nella sistemazione post-unitaria della proprietà, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1976-77, I, pp. 246 e ss.
2 Come scrive Rodotà, «[a]ttraverso il riconoscimento della effettiva funzione storica dei diversi
elementi costitutivi del sistema giuridico della proprietà, […] possono emergere, a un tempo, le finalità perseguite con i diversi statuti del progetto sociale d’insieme ad essi corrispondente». S.
RODOTÀ, La logica proprietaria tra schemi ricostruttivi e interessi reali, in Quaderni fiorentini per la
storia del pensiero giuridico moderno, 1976-77, 5-6, p. 890. Analogamente la proprietà viene definita da Barcellona il «principio organizzativo dei rapporti economico e sociali» (P. BARCELLONA,
Proprietà (tutela costituzionale), in Digesto delle scienze privatistiche - sezione civile, XV, Torino, 1997, p. 461.
3 Cfr. P. R
ESCIGNO, Per uno studio della proprietà, Riv. dir. civ., 1972, I, pp. 17 e ss.
4 Proprio la negazione del momento relazionale ha reso necessario, secondo Rescigno, privilegiare
inter-economico rilevata in dottrina, condividendosi l’opinione per la quale esso
costituisca tuttora «nella nostra cultura il riferimento […] per descrivere e connotare
nel loro insieme tipi di rapporti esistenti nell’organizzazione sociale»5 .
Le scienze economiche, definendo the system «of property rights»6 come «[l’i]nsieme dei rapporti economici e sociali che definiscono la posizione di ciascuno rispetto all’utilizzazione di risorse scarse»7
, hanno dato risalto alla centralità che il
momento relazionale assume nella configurazione del diritto di proprietà. In questo
senso non sarebbe corretto ridurre il diritto al vincolo giuridico esistente tra soggetto
e bene, senza considerare la regolazione dei rapporti inter-subbiettivi che
naturalmente nascono dal fatto che esistono degli oggetti sottoposti ad atti
appropriativi tra loro concorrenti. Trattasi di una definizione che per propria natura
differisce dal concetto elaborato nell’esperienza giuridica continentale, tradizione
dalla quale vennero tratte le definizioni legali approntate da quegli ordinamenti
statali nei quali il diritto civile venne codificato. In queste esperienze il diritto di
proprietà venne concepito come un «modello astratto»8 capace di assorbire tutte le
possibili epifanie del fenomeno appropriativo. L’attrazione del bene nell’orbita
gravitazionale esclusiva ed assoluta di un individuo9 negò quel «momento
comunitario»10 sotteso all’implicita relazionalità inter-soggettiva che il fenomeno
dell’appropriazione di per sé evoca nell’analisi delle scienze economiche.
soggettiva che emerge nel mutato sistema principiologico della Costituzione italiana (CI). Cfr. P.
RESCIGNO, Disciplina dei beni e situazioni della persona, in Quaderni Fiorentini per la storia del
pensiero giuridico moderno, 976-77, 5-6, II, pp. 867 e ss. Per una ricostruzione della progressiva dissociazione tra proprietà e controllo del potere economico avvenuto con l’avvento delle società per azioni, si veda F. GALGANO, Proprietà e controllo della ricchezza: storia di un problema, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1976-77, II, pp. 681-701.
5 S. R
ODOTÀ, La logicaproprietaria tra schemi ricostruttivi e interessi reali, in Quaderni fiorentini
per la storia del pensiero giuridico moderno, 1976-77, 5-6, p. 890.
6 E. G. F
URUTBON, S. PEJOVICH, PropertyRights and economic theory: a survey of recent literature,
in Journal of Economic Literature, 1972, 10, p. 1139.
7 E. G. F
URUTBON,S. PEJOVICH, Property Rights and economic theory: a survey of recent literature,
in Journal of Economic Literature, 1972, 10, p. 1139.
8 P. G
ROSSI, Tradizioni e modelli nella sistemazione post-unitaria della proprietà, in Quaderni
fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1976-77, I, p. 244.
9 Come afferma Grossi, riprendendo la lezione del Rosmini: «[i]n alto, molto in alto al di sopra della
relatività storica, sta il “primitivo concetto semplice ed assoluto di proprietà”, un archetipo puro che incarna la forza e l’autonomia del soggetto in uno stadio di incontaminazione da parte di forze esterne, siano queste le cose o gli altri. È un dominio puramente naturale che si suole comunemente concepire prescindendo da rapporti di convivenza» (P. GROSSI, Tradizioni e modelli nella sistemazione post-unitaria della proprietà, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1976-77, I, pp. 237-238).
10
Anche nella “esperienza giuridica”11
continentale si è sviluppata una
riflessione capace di superare la semplice esegesi delle formule sulle quali si è
sostenuta l’immutabilità apparente dell’istituto proprietario. Tale riflessione - non solo sulla base del mutato tenore positivo imposto dall’introduzione, nel
costituzionalismo di molti dei paesi ascritti alla tradizione di civil law, della funzione sociale della proprietà, ma soprattutto grazie a un’analisi capace di contestualizzare
storicamente l’istituto nelle codificazioni continentali12
- ha messo in evidenza come
solo in «una interpretazione ideologica della rivoluzione francese, a costruire la quale
ha assiduamente lavorato il liberalismo dell’Ottocento»13
, si sia potuto pensare il
diritto di proprietà come avulso dai limiti e obblighi che ne concretizzarono
l’astrattezza in relazioni inter-subbiettive14
. Approfondendo tale dimensione si è
sottoposta a critica la riduzione del diritto di proprietà ad una «dimensione
dominativa»15, consistente nel sottoporre un bene alle facoltà di un soggetto in uno
spazio completamente intra-subbietivo16. Invece dei rapporti dominativi consumati
tra soggetto e beni, si evidenziarono le relazioni intercorrenti tra i soggetti coinvolti
nei rapporti proprietari istituiti dall’ordinamento giuridico sia sul versante pubblico,
che su quello privato. La persistente negazione di un momento obbligatorio quale
elemento costitutivo dell’istituto - asserita dall’interpretazione dogmatica che la
tradizione civilista diede alle formule adottate nelle codificazioni pur quando la
funzionalizzazione sociale ne avesse già destituito parzialmente il fondamento
11 Cfr. V. C
APOGRASSI, Studi sull’esperienza giuridica, in ID., Opere, II, Milano, 1959, p. 245 e ss.
12 Per una costruzione storiografica delle vicende proprietarie negli anni tra la Rivoluzione francese e
la codificazione napoleonica si veda S. RODOTÀ, Il terribile diritto, studi sulla proprietà, Bologna, 1981, pp. 61 e ss. L’autore sostiene la continuità concettuale tra codice napoleonico e le coeve disposizioni speciali. Negando quella rottura sostenuta da chi considera la legislazione speciale una corruzione contingente subita dalla purezza del concetto proprietario, Rodotà riesce a demistificare il
lasseiz faire apoditticamente ascritto all’ideologia della Rivoluzione francese. Cfr. S. RODOTÀ, Il terribile diritto, studi sulla proprietà, Bologna, 1981, pp. 119 e ss.
13 S. R
ODOTÀ, Il terribile diritto, studi sulla proprietà, Bologna, 1981, p. 94.
14 Sull’elaborazione di un concetto di proprietà come relazione inter-subbiettiva nella dottrina tedesca
e italiana, si veda R. SACCO, La proprietà, sommario delle lezioni di diritto civile tenute all’Università
di Pavia nell’anno accademico 1967-1968, Torino, 1968, pp. 28-29.
15 Sul concetto si veda P. R
ESCIGNO, Disciplina dei beni e situazioni della persona, in Quaderni
fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1976-77, 5-6, II, p. 862.
16 Come già Kelsen ebbe modo di sottolineare, «dal punto di vista giuridico, il dominio dell’uno è
normativo17 - alimentò quel profondo dibattito che ha attualizzato l’istituto a fronte
dei processi di ri-democratizzazione dei regimi dittatoriali e totalitari del XX secolo,
prevalentemente, anche se non esclusivamente, nel continente europeo.
La dialettica tra il modello astratto del diritto e la storica immanenza delle
relazioni appropriative trasposte nell’istituto di proprietà - ed il rapporto di forza che
intercorse tra questi due profili nell’affermarsi alternativamente come egemonici
nelle esperienze giuridiche di derivazione romanistica18 - dimostra come il
fondamento e la struttura dello strumento preposto alla regolazione giuridica
dell’appropriazione abbia corrisposto a differenti funzioni19
. La poli-funzionalità
della proprietà può emergere in senso diacronico, in relazione all’evoluzione storica
di uno specifico sistema politico20, o sincronico, rispondendo nello stesso tempo ed
in un medesimo sistema politico a differenti sollecitazioni21.
A partire dalla multi-funzionalità della proprietà - desumibile da una storia
delle idee poste a suo fondamento22 - il presente lavoro cercherà di mettere in luce in
che misura il concretizzarsi dei «principi-valori» caratterizzanti le «forme di Stato»23
17 Cfr. S. R
ODOTÀ, Il terribile diritto, Studi sulla proprietà, Bologna, 1981, p. 69.
18
Sull’influenza esercitata dalla circolazione dei modelli francese e tedesco, tra Ottocento e Novecento, sull’evoluzione del concetto di proprietà nella dottrina civilistica italiana, si veda P.
GROSSI, Tradizioni e modelli nella sistemazione post-unitaria della proprietà, in Quaderni fiorentini
per la storia del pensiero giuridico moderno, 1976-77, I, pp. 201-338.
19
Il regime del diritto di proprietà quindi è giustamente da considerare «la risultante di un processo competitivo fra diversi formanti, taluni dei quali a valenza principalmente politica, talaltri a valenza tecnico-giuridica e/o culturale» (U. MATTEI, Proprietà, in Digesto delle scienze privatistiche - sezione civile, XV, Torino, 1997, p. 439).
20
Come evidenziato da Horwitz, anche in quelle stesse esperienze politiche particolarmente sensibili alle premesse ideologiche liberali il concetto di proprietà ha subito, nel corso del tempo, una trasformazione orientata al raggiungimento del benessere sociale. In questo senso i modelli storici che governano l’acquisizione e la garanzia della proprietà sono pensati per allocare incentivi economici ad alcuni operatori economici o per discriminare selettivamente i proprietari per il raggiungimento di un’utilità collettiva. Cfr. M. J. HORWITZ, The Transformation in the Conception of Property in Ameri-can Law, 1780-1860, in The University of Chicago Law Review, 1973, 2, pp. 248-290.
21 Ne è una dimostrazione la mediazione compiuta dalla dottrina italiana, che in un periodo di
transizione, quale fu la seconda metà del XIX secolo, ritenne di poter conciliare nella proprietà un concetto di diritto filosoficamente già ancorato ai principi dell’individualismo possessivo e una struttura dell’istituto ancora ampiamente influenzata dalle teorie del dominio diviso (cfr. P. GROSSi,
Tradizioni e modelli nella sistemazione post-unitaria della proprietà, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1976-77, I, pp. 275 ss).
22 Sulle differenti idee del diritto di proprietà, si veda la “filologica” ricostruzione di L. M
OCCIA,
Riflessioni sull'idea di proprietà, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 1, pp. 21 e ss.
23 Riprendendo la definizione proposta da De Vergottini, tale concetto sviluppa gli «elementi che
della Repubblica italiana e della República federativa do Brasil, possa tuttora dipendere dal diritto di proprietà. Gli elementi cui si presterà attenzione
nell’individuare una costitutiva modalità d’essere degli ordinamenti costituzionali
che si prenderanno in considerazione - ossia quello italiano e quello brasiliano - sono
rappresentati dalla positivizzazione dei diritti fondamentali che trovano la propria
base teorico-filosofica nella centralità della persona e nella garanzia della sua
autodeterminazione24.
Prima di procedere bisogna però svolgere una premessa. Il discorso ora
introdotto non deve essere confuso con un tipo di analisi che, sulla base di un
approccio puramente sociologico, tenta di individuare il ruolo svolto dalla proprietà
in specifici sistemi sociali. Se l’interazione tra sistema normativo e sistema sociale si
dimostra capace di modificare la funzione del diritto di proprietà25, tale
modificazione diviene giuridicamente rilevante nel momento in cui sia in grado di
alterare gli equilibri che rendono organico un ordinamento giuridico. Se l’evoluzione
sociale sottopone a pressioni il sistema normativo, tali pressioni vengono riassorbite
in un differente equilibrio dinamico, possibile nei limiti in cui non si palesi un
conflitto identitario con la prescrittività resiliente nei contenuti di una «forma di
Stato»26 impressa in una Costituzione27, quale «diritto costituzionale costituito»28.
Con tale formula intendo definire quel sistema di valori formalizzati in principi -
«ordine complessivo di vita associata in quanto compendia in sé i presupposti e le condizioni, cioè l’insieme di fattori spirituali, economici e sociali, le convinzioni, le strutture, i fini che informano in sé un ordinamento» (C. MORTATI, Art. 1, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1975, p. 7).
24 Cfr. P. P
ERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972. Il riferimento
all’autore è indicativo per entrambi gli ordinamenti, vista l’ampia circolazione delle sue opere nella dottrina brasiliana. Si veda inoltre F.PIZZETTI, L'ordinamento costituzionale per valori, in Dir. Eccl,. 1995, 1, pp. 81 e ss. Analogamente R. L. BARROSO, Interpretação e aplicação da Constituição, São Paulo, 2008, p. 375.
25 Se «la funzione sociale si modifica senza che si abbia modificazione giuridica dell’istituto
giuridico» (C. RENNER, Gli istituti di diritto privato e la loro funzione sociale, Bologna, 1981), non ne risulterà comunque immutato un ordinamento giuridico organizzato a sistema sulla base di principi costituzionali positivizzati.
26 Adottando la griglia interpretativa del Rescigno, con la quale si critica, in quanto abusata, il
concetto di forma di Stato, si dovrebbe parlare di «formazione economico-sociale», ossia della «caratterizzazione della intera esperienza giuridica di quella specifica formazione economico-sociale presa in considerazione, con uno sforzo di sintesi quindi molto rischioso ma che comunque deve tendere a cogliere le linee fondanti di tutto l’ordinamento giuridico». G. U. RESCIGNO., Forme di Stato e forme di governo, in Enc. giur., XIV,Roma, 1994, p. 12.
27 Come afferma Mortati, lo stesso concetto di Costituzione implica limiti strutturali che, qualora
superati, farebbero venir «meno la stessa identità del soggetto cui si riferiscono» (C. MORTATI,
Costituzione, in Enc. del dir., XI, Milano, 1992, p. 140).
28
individuati «sulla base di elementi desunti o desumibili dal diritto vigente»29 e perciò
giuridici30 - che costituiscono il fondamento di posizioni soggettive - diritti, obblighi,
garanzie - e dei criteri di selezione e di bilanciamento di interessi giuridicamente
riconosciuti31. Sia la trasformazione di questi equilibri sociali, sia il latente conflitto
che il mutamento sociale produce rispetto al “dover essere” di un ordinamento costituzionale, non debbono essere, quindi, sottratti all’analisi critica, seppur
rischiosa32, operata dal giurista partendo da una logica interna al sistema. L’esame
dell’attuale stato di una vicenda proprietaria alla luce di un “programma
costituzionale” giuridicamente posto - tema vecchio e che può apparire una celebre
pagina già scritta nella storia del costituzionalismo democratico - si dimostra di
particolare importanza, in quanto ai diritti e solo ai diritti, è legata la legittimità di
una logica rivendicativa che qualifica il conflitto sociale e lo rende, come ritenuto
giustamente in dottrina33, il motore di un mutamento istituzionalizzato. La dinamica
conflittuale che produce, all’interno delle istituzioni, gli assetti sociali ed economici
di un determinato momento storico è momento democraticamente necessario e
coerente rispetto all’interventismo34
che caratterizza il costituzionalismo
democratico-sociale35.
29 S. B
ARTOLE, Principi generali del diritto, in Enc. del dir., XXXV, Milano, 1992, p. 520.
30
Cfr. G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, Padova, 2007, p. 121; F. PALERMO, La forma di Stato dell’Unione europea, Padova, 2005, pp. 30 ss.
31 Di contenuto analogo il concetto, suggerito da Lavagna, di regime, che «nel suo significato
giuridico positivo, è quella parte della Costituzione dello Stato, che segna e disciplina la posizione fondamentale dei vari soggetti giuridici, sia fra loro, sia nei confronti del governo; nonché determina i fini essenziali dello Stato, a cui l'intero ordinamento giuridico risulta ispirato» (C. LAVAGNA, Diritto costituzionale, I, Milano, 1957, p. 169).
32 Cfr. G.U. R
ESCIGNO, Forme di Stato e forme di governo, in Enc. giur., XIV, Roma, 1994, p. 12.
33
Cfr. R. BIN, Che cos’è la Costituzione?,in Quaderni costituzionali, 2007, 1, p. 1-52.
34 In tale aspetto Sandulli coglie un elemento costitutivo del concetto di Stato sociale. Cfr. A.
SANDULLI, Profili costituzionali della proprietà privata, in Riv. trim. di dir. proc. civ., 1972, p. 466.
Sul concetto di interventismo innovativo, si veda G. ZAGREBELSKY, Società - Stato - Costituzione, lezioni di dottrina dello Stato degli anni acc. 1986 -1987 e 1987 - 1988, Torino, 1988, pp. 67-68.
35 Concetto che, secondo Mortati, è «stato coniato […] per designare la nuova dimensione assunta
dalle strutture statali le quali si propongano d rimuovere i fattori di dissoluzione e di assicurare a tutti condizioni minime di vita e di sviluppo della persona» (C. MORTATI, Costituzione, in Enc. del dir., XI, Milano, 1992, p. 215).
Anche qualora si riconoscesse in questa specifica declinazione del
costituzionalismo non un insieme di norme sostanziali capaci di risolvere il conflitto
sociale36 - in virtù del relativismo che contraddistingue una società pluralista37 - ma
al contrario un insieme di norme procedurali capaci di veicolare una risoluzione
“futuribile” del conflitto all’interno del sistema politico38
- seppur
circonstanziatamente legata agli equilibri politici legati ad interpretazioni contingenti
e storiche dei principi costituzionali -, non si potrebbe negare come accanto ai «limiti
negativi»39 posti dalla rigidità procedurale, vi sia un nucleo sostanziale prescrittivo40.
Se la rigidità mantiene ancora un senso nella sistematica costituzionale
contemporanea è perché individua implicitamente, prima che procedure, un quid che, essendo sottratto al potere di revisione proceduralmente condizionato41, può essere
modificato solo tramite l’esercizio di un nuovo potere costituente42
. Tale sostanza, in
36 Cfr. R. B
IN, Che cos’è la Costituzione?,in Quaderni costituzionali, 2007, 1 p. 23.
37 Cfr. R. B
IN, Che cos’è la Costituzione?,in Quaderni costituzionali, 2007, 1, p.43.
38
Cfr. R. BIN, Che cos’è la Costituzione?,in Quaderni costituzionali, 2007, 1, p. 16
39 R. B
IN, Che cos’è la Costituzione?,in Quaderni costituzionali, 2007, 1, p.43.
40 Con riferimento all’esperienza giuridica italiana, lo stesso Mortati attribuiva ai principi
fondamentali della Costituzione la capacità di «riunire in un insieme unitario le molteplici manifestazioni di vita dello Stato, segnando altresì i limiti invalicabili ad ogni mutamento costituzionale» (C. MORTATI, Costituzione, in Enc. del dir., XI, Milano, 1992, p. 214). Seppur tale affermazione poco dica nell’ottica della dottrina della Costituzione materiale a lui ascritta, è lecito porsi la domanda se sia possibile, nel giro di qualche decennio, che siano così profondamente mutati quei rapporti istituzionali da cui la Costituzione formale trasse il proprio fondamento, considerando il fatto che la presunta Costituzione materiale di cui la Carta del 1948 è formalizzazione, non cristallizzò un equilibrio sociale, ma pose le basi per una sua profonda trasformazione. La Costituzione materiale in questo senso riconosce il valore del mutamento sociale, istituzionalizzando un processo (quello che Bin chiama conflitto sociale).
Considerando che nella Costituzione italiana «l’intervento richiesto allo Stato rivolto a modificare le condizioni che influenzano i rapporti contratti dai singoli, a correggere i risultati derivanti dal giuoco delle forze sociali contrapposte, si propone di consentire a tutti, e non solo ad alcuni privilegiati, l’uso effettivo della libertà, la possibilità di esplicare le capacità insite in lui, svolgendo pienamente la propria personalità» (C. MORTATI, Costituzione, in Enc. del dir., XI, Milano, 1992, p. 215), l’inasprimento delle sperequazioni sociali dovrebbe aumentare la forza vitale riposta nel programma costituzionale, ponendo nuovamente al centro dell’ordinamento quel «principio lavorista» (C.
MORTATI, Costituzione, in Enc. del dir., XI, Milano, 1992, pp. 214-215) che qualifica la forma di
Stato sottesa al concetto di «repubblica costituzionale» (P. PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972, p. 61) e a cui si riferisce lo stesso Bin nel chiudere il proprio saggio.
41
Cfr. V. ANGELINI, Costituente e costituito, Padova, 1995, pp. 101 e ss.
42 È indubbio che l’ordinamento giuridico costituzionale si presenti come strumento per organizzare
una logica che vuole superare il fondamento gius-naturalista dell’ordinamento
costituzionale43, non può che essere ricavata dai principi su cui si regge una
Costituzione e dai diritti che ne sono concreta espressione. Se si può parlare di un
“contenuto minimo” di una Costituzione democratica e sociale44
, tale contenuto
racchiude i diritti funzionali all’emersione di un conflitto sociale istituzionalizzato, tale in quanto fondato su di una dialettica “rivendicativa” contraddistinta
qualitativamente dalla legittimità politica e giuridica. La “naturalità” attribuita
all’ordinamento giuridico del mercato si esprime in differenti profili. Tra questi ve n’è uno che, a nostro avviso, non deve essere sottovalutato e in virtù del quale ad una
logica rivendicativa di diritti - tradizionalmente diretta alle pubbliche autorità in
un’ottica pretensiva a vocazione universalistica - viene sostituita una logica aderente
alle opportunità (scarse e non universali) offerte dal mercato che, pur essendo «locus artificialis»45, viene socialmente percepito come capace di legittimare apoditticamente l’allocazione sia di risorse, sia di potere sociale, economico, politico
da esso prodotte. La percepita naturalità del meccanismo del mercato neutralizza il
conflitto sociale marginalizzando sia i diritti che la Costituzione tuttora garantisce,
sia la funzione che alla Costituzione viene attribuita nel catalizzare il processo di
significa aderire ad una tesi formalista, né tanto meno rivendicare un monopolio dei giuristi sull’interpretazione dell’ordinamento. Proprio avendo come fine una completa ri-politicizzazione del diritto si pensa opportuno che quanto positivizzato debba essere modificato solo con procedure formali, fino a giungere all’esercizio massimo di un nuovo potere costituente qualora insanabili siano le fratture tra Costituzione e senso nucleare sociale. Questo è necessario per impedire che attraverso il mutamento tacito della Costituzione si eviti il profondo dibattito che deve investire la società nel ripensare il senso della propria organizzazione, “neutralizzando” per altra via, e non meno anti-democratica, la natura politica della questione.
43 Interessante la posizione espressa da Ruini nel discorso fatto all’Assemblea costituente nella seduta
del 12 marzo 1947, a chiusura della discussione generale sul progetto di Costituzione. Se si nega che la rigidità comporti l’immodificabilità della Costituzione, parallelamente si individua nel riconoscimento di principi e di diritti individuali un limite all’esercizio dello stesso potere costituente, quindi a maggior ragione di quello costituito. Se ne può dedurre l’assunzione di premesse di natura gius-naturalista, che comunque rafforza, non smentendo, l’esistenza di un nucleo prescrittivo. Cfr. M. RUINI, Come si è formata la Costituzione, Milano, 1961, p. 120-121.
44 Ad uno Stato sociale si affianca un «diritto sociale», ossia «[l’]insieme delle pretese a favore di tutti
i cittadini, fatte derivare dal principio di uguaglianza, di partecipare dei beni della vita, sulla base di una garanzia prestata dallo Stato ed esplicantesi con interventi diretti, o mediante oneri di imposti ad altri soggetti» (C. MORTATI, Art. 1, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1975, p. 11). Quello che appare irrinunciabile è un intervento sotteso da finalità redistributive legate all’art. 3 CI (P. PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972, p. 171), da cui derivano meccanismi politici di regolazione pubblica delle relazioni inter-soggettive.
45 N. I
mutamento sociale. Se non si riafferma la centralità dei diritti costituzionali
difficilmente la funzione storica assegnata alla Costituzione potrà essere svolta,
essendo il conflitto sociale frutto di una logica rivendicativa che appare estranea
all’equilibrio sociale che il mercato sembra auto-performativamente produrre46 .
Anche quando il conflitto sociale viene letto e recepito nel sistema politico, è
solo a partire dalla Costituzione che si può invertire quella de-responsabilizzazione di
cui le autorità politiche nazionali godono nel demandare a organi giurisdizionali
sovranazionali - espressione dell’integrazione verticale tra sistemi giuridici compresa
attraverso il «costituzionalismo multilivello» - la risoluzione di conflitti sociali sulla
base di un sistema assiologico diverso, se non in contrasto47, rispetto ai sistemi
costituzionali nazionali48.
A fronte della progressiva autonoma conquistata dal fenomeno economico
rispetto al controllo politico, l’obiettivo del presente lavoro è quello di contribuire ad
una maggiore comprensione del ruolo che tuttora il diritto di proprietà - e la logica
rivendicativa ad esso sottesa - può svolgere nelle esperienze costituzionali italiana e
brasiliana49. Concentrandosi sulla funzione del diritto di proprietà, si vuole
46 È errato, nell’opinione di chi scrive, pensare che il conflitto sociale per l’accesso alla cittadinanza e
all’inclusione - lo stesso che oggi non viene più riconosciuto e risulta invisibile se osservato per mezzo delle categorie ideologiche del XX secolo - possa essersi trasformato in conflitto tra consumatori ed erogatori di beni e servizi. Poiché nella figura del consumatore si ricompone solo apparentemente l’unicità del soggetto di diritto - la stessa identità ed universalità che il principio di uguaglianza sostanziale aveva scomposto e frammentato - cui poter applicare nuovamente, su vecchie premesse filosofiche, il principio di uguaglianza formale. Tale operazione deve essere considerata un espediente che permette, come già affermato, la neutralizzazione (o meglio il congelamento) del conflitto sociale, impedendo una sua evoluzione.
47 Cfr. A. A
LGOSTINO, Democrazia sociale e libero mercato? Costituzione italiana versus
“Costituzione europea”?, in Rivista di diritto costituzionale, 2007, pp. 98-128. La autrice giunge a negare che gli esiti del processo di costituzionalizzazione tuttora in atto a livello comunitario possano essere ascritti alla ratio del «costituzionalismo», quale giuridicizzazione dei limiti posti al potere (A.
ALGOSTINO, Democrazia sociale e libero mercato? Costituzione italiana versus “Costituzione
europea”?, in Rivista di diritto costituzionale, 2007, p. 126).
48 Come afferma Luciani, «sui diritti, di tanto in tanto, si deve anche decidere, perché non sempre si
può semplicemente “accertare” l’esistente o “bilanciare” tra ciò che a suo tempo fu deciso. Una comunità politica ha la responsabilità di decidere sulle questioni che la agitano attraverso i propri organi politicamente responsabili, non può sempre scaricare sul circuito della giurisdizione il fardello della soluzione dei problemi» (M.LUCIANI, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur. cost., 2006, II, pp. 1663-1664).
La medesima dinamica viene riscontrata da Patruno nel giudizio di conformità all’ordinamento comunitario delle legislazioni nazionali in materia gius-lavorista contenuta in recente giurisprudenza comunitaria. Cfr. L. PATRUNO, La caduta del «principio lavorista». Note a margine di Laval e Viking: un'innovativa giurisprudenza CE fondata su antiche disuguaglianze, in Giur. cost., 2008, 1, 524-536.
49 Tale esigenza era già avvertita alcuni decenni fa, in seguito al rinvigorimento di una teoria
evidenziare quale ruolo essa ha assunto, assume o dovrebbe assumere nell’ambito
delle reazioni sistemiche che un ordinamento costituzionale genera a fronte del
mutato contesto sociale ed economico. Consapevoli del processo di frammentazione
dell’istituto proprietario, si valuterà, nello specifico, in che modo uno specifico
modello proprietario collettivo - cui possono essere ascritte quelle forme tradizionali
di proprietà che permangono nei rispettivi ordinamenti pur a fronte della loro
progressiva modernizzazione - possa svolgere quella funzione di garanzia e di tutela
della persona tuttora attribuita al diritto di proprietà e un tempo assolta, nella
tradizione liberale, dal diritto di proprietà individualista. Tale analisi, seppur
influenzata da suggestioni politico-sociologiche, compete ad ogni giurista
legittimamente interessato alla «terza dimensione funzionale e teleologica»50 del
diritto e dei suoi istituti51.
Si è scelto di approfondire questo tema attraverso l’analisi di due esperienze
giuridiche differenti, da cui trarre spunti per superare una pre-comprensione culturale
che a volte occulta la reale natura degli istituti considerati isolatamente nel loro
contesto di origine. L’analisi della funzione che può essere attribuita a tali istituti
sulla base di una sistematica costituzionale si avvarrà delle concrete articolazioni
date, a livello internazionale, del principio dello sviluppo sostenibile, a nostro parere
non irrilevanti per procedere ad una loro integrazione sistematica nell’ordinamento
giuridico.
Quanto detto dovrebbe essere sufficiente per dare fondamento scientifico e
metodologico ad una ricostruzione giuridica della funzione di uno specifico modello
proprietario collettivo, anche se è necessario svolgere un’ulteriore importante precisazione circa la natura semantica della parola “funzione”. La finalità sottesa al
diritto di proprietà in una sistematica costituzionale è cosa differente rispetto alla
funzionalità sociale dell’istituto positivizzata nell’art. 42, co. II, della Costituzione
si annunciava la «fine dell’eclissi» che per alcuni decenni aveva offuscato la fortuna della proprietà. Cfr. S. RODOTÀ, Il terribile diritto, studi sulla proprietà, Bologna, 1981, p. 19.
50
S. PUGLIATTI, La giurisprudenza come scienza pratica, in Riv. it. sc. giur., 1950, p. 64.
51 Mortati invita a prendere in considerazione la natura «funzionale-teleologica di singoli istituti
positivi, che non può sfuggire all’interprete che voglia cogliere l’intimo loro significato» (Cfr. C.
MORTATI, Costituzione, in Enc. del dir., XI, Milano, 1992, p. 165). Pur non aderendo alle conclusioni
Italiana (CI) e nell’art.5, XXIII, della Constituição della República Federativa do Brasil (CRFB). La funzione sociale, come evidenziato dalla miglior dottrina, esprime un principio generale che presiede alla regolazione giuridica dell’istituto,
conformandolo, con riferimento ai molteplici statuti proprietari, a partire dal proprio
interno52. La concretizzazione del principio di funzionalità sociale, come
positivizzata nelle disposizioni legislative che danno applicazione al principio
costituzionale, definisce una modalità dell’essere del diritto, che è cosa diversa dalla
relazione che il configurarsi del diritto esprime rispetto agli assetti sociali prescritti in
un progetto costituzionalmente formalizzato. La funzione cui si presterà attenzione
nel presente lavoro costituisce un elemento esterno al diritto, ma non ininfluente
rispetto alla funzione sociale quale principio interno alla struttura dell’istituto
proprietario. Esiste un nesso tra la funzione sociale dell’istituto proprietario, come
positivamente individuata, e la funzione che il diritto di proprietà deve svolgere sulla
base di una «attenta considerazione del momento teleologico, attorno al quale si
individuano gli elementi strutturali dell’istituto»53
. Proprio dal configurarsi
dell’istituto proprietario rispetto al sistema costituzionale derivano delle conseguenze
in termini di natura e struttura del diritto. Riservandoci di esemplificare con maggior
precisione queste affermazioni nel momento in cui si analizzeranno i modelli
proprietari che hanno orientato la regolazione costituzionale dell’istituto, si
procederà introducendo il quadro assiologico che permea le sistematiche
costituzionali italiana e brasiliana.
2. Le forme di Stato degli ordinamenti italiano e brasiliano
2.1. La forma di Stato della Repubblica Italiana
L’applicabilità all’ordinamento costituzionale italiano di un concetto
prescrittivo di forma di Stato54, quale sintesi di una trama di principi e valori
52
Cfr. S. RODOTÀ, Il terribile diritto, studi sulla proprietà, Bologna, 1981, p. 223, P. BARCELLONA,
Proprietà (tutela costituzionale), in Digesto delle scienze privatistiche - sezione civile, XV, Torino, 1997, p. 458.
53 S. R
ODOTÀ, Il terribile diritto, studi sulla proprietà, Bologna, 1981, p. 232.
54
“supercostituzionali”, può esser facilmente sostenuta, superando le obiezioni
sollevate in dottrina sulla base del semplice dato letterale del dispositivo55.
Con riferimento al caso italiano l’articolo 139, CI, limita il potere di revisione
costituzionale, riconosciuto ex art. 138, CI, statuendo l’immodificabilità della forma
repubblicana56. Come osservato in dottrina proprio tale formula sintetizza la forma di
Stato dell’ordinamento italiano57
, che pone dei limiti sistematici al potere di
revisione. Neppure atti di rango costituzionale (tra cui quelli di revisione
costituzionale) si sottraggono ad una valutazione di conformità che ha come
parametro il «contenuto essenziale» dei principi supremi della Costituzione58. La
dottrina ha evidenziato inoltre come una resilienza dell’ordine costituzionale rispetto
a una sua modificazione tacita sia contemplata nell’articolo 54 CI il quale, attraverso
la prescrizione di un obbligo di fedeltà alla Repubblica (ma leggasi ai «valori
fondanti dell’ordinamento»), e di osservanza alla Costituzione e alle leggi, ne
sancisce il valore giuridico59.
La Corte costituzionale ha approfondito i contenuti prescrittivi dei principi
caratterizzanti la forma dello Stato italiano, affermando come i limiti alla
modificabilità della Costituzione, non potendosi considerare assorbiti dalla forma
repubblicana60, debbano essere rintracciati anche nei principi che «pur non essendo
espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione
55 Cfr. V. A
NGELINI, Costituente e costituito, Padova, 1995, p. 73; S. BASILE, Valori superiori,
principi costituzionali fondamentali ed esigenze primarie, in Giur. cost., 1993, III, pp. 2201-2258.
56
Sul principio repubblicano come limite alla restaurazione della monarchia, e come «norma che assicura la sopravvivenza del principio dell’art. 1 Cost., impedendo la soppressione di tutte le garanzie e norme costituzionali attraverso cui si attuano la nozione di repubblica democratica ed il principio della sovranità popolare», si veda G. BIANCO, Repubblica, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XIII, Torino, 1997, pp. 178 e ss.
57 Cfr. G. D
E VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, Padova, 2007, p. 126; G. BIANCO,
Repubblica, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XIII, Torino, 1997, pp. 176.
58 Corte cost., 15-29 dicembre 1988, n. 1146. Si veda inoltre Corte cost., 6 dicembre 1973, n. 175. Con
riferimento all’incostituzionalità di un’interpretazione dell’art. 11, CI, tale per cui l’auto-limitazione della sovranità possa permettere la violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana, si veda la conosciuta sentenza della Corte cost., 18 dicembre 1973, n. 183.
59
Cfr. M. AINIS, La Costituzione e i suoi destinatari: i concetti di «applicazione», «attuazione», «esecuzione» ed «osservanza» delle norme costituzionali, in S. LABRIOLA (a cura di), Cinquantenario della Repubblica italiana: giornate di studio sulla Costituzione, Roma, 10-11 ottobre 1996, Milano, 1997, pp. 171 e ss.
60
costituzionale, appartengono all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la
Costituzione italiana»61.
Sono molteplici i profili nei quali concretamente il giudice delle leggi ha
desunto da un’interpretazione sistematica della Costituzione un suo nucleo
immodificabile. Nella giurisprudenza si possono trovare riferimenti specifici alla
laicità, quale «principio supremo […] dello Stato, [caratterizzante] uno dei profili
della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica»62, che
«implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato
per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e
culturale»63; al lavoro quale «valore fondante della nostra forma di Stato (art. 1,
primo comma, 4, 35 e 38 Cost.), nel quadro dei più generali principi di solidarietà
(art. 2 Cost.) e di eguaglianza, anche sostanziale (art. 3 Cost.)»64; al complesso
rapporto tra enti pubblici territoriali come sintetizzato nella formula «Stato
regionale»65.
I valori supremi trovano poi un concreto significato nel «nucleo essenziale dei
valori di personalità - che inducono a qualificarlo come parte necessaria di quello
spazio vitale che circonda la persona e senza il quale questa non può esistere e
svilupparsi in armonia con i postulati della dignità umana»66. I diritti inviolabili della
persona costituiscono quindi «un carattere fondante rispetto al sistema democratico
voluto dal Costituente»67. I diritti inalienabili di volta in volta considerati espressione
dei valori della personalità sono stati acclarati, a mero titolo esemplificativo,
61 Corte cost., 15-29 dicembre 1988, n. 1146, in Cons. Stato, 1988, II, p. 2317. 62
Corte cost., 11-12 aprile 1989, n. 203, in Cons. Stato, 1989, II, p. 53.
63 Corte cost., 11-12 aprile 1989, n. 203, in Cons. Stato, 1989, II, p. 53, come riaffermato in Corte
cost., 27 aprile 1993, n. 195.
64 Corte cost., 15 febbraio 1991, n. 87, in Cons. Stato, 1991, II, p. 339. 65
Corte cost., 10 febbraio 1997, n. 21, in Cons. Stato, 1997, II, p. 180. La formula “forma di Stato
regionale” indica la relazione che la Corte rileva tra forma di Stato e forma di governo. La relazione che può sussistere tra i due concetti viene sottolineata da C. MORTATI, Costituzione, in Enc. del dir., XI, Milano, 1992, pp. 209.
Sull’interpretazione del concetto di “armonia” e di “spirito della Costituzione”, alla luce del quale valutare, ex art. 123 CI, la conformità costituzionale della forma di governo regionale individuata nell’esercizio di una autonomia statutaria, si veda C. PETTINARI, Note a margine del concetto di “armonia con la Costituzione” e di “Spirito della Costituzione”, in Giur. cost., 2003, 3, pp. 1891-1912.
66 Corte cost., 23 luglio 1991, n. 366, in Giur. cost., 1991, p. 2914.
67 Corte cost., 23 luglio 1991, n. 366; in Giur. cost., 1991, p. 2914. In dottrina si veda P. P
ERLINGIERI,
La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972, p. 61; A. BARBERA, Art. 2, in G.
nell’inviolabile diritto a una comunicazione libera e segreta68
, nel diritto alla tutela
giurisdizionale69 e nel diritto ad un giudice indipendente e imparziale70.
La brevissima rassegna delle formule che la Corte costituzionale ha utilizzato
nel delineare ora la forma di Stato dell’ordinamento italiano, ora il nucleo immodificabile dell’ordine costituzionale, trova conferma nei principi individuati
dalla dottrina: il personalista, il pluralista, il lavorista, il democratico71. Partendo da
questi principi si tenterà evidenziare brevemente la struttura concettuale riposta nel
testo costituzionale, adottando una «preferenza verso le risorse interpretative
letterali»72, in quanto capaci di corrispondere alla speciale giuridicità che connota i
principi e le regole costituzionali. In altre parole, per rispettare quell’obbligo di
osservanza imposto dall’articolo 54, CI, occorre «valorizzar[e] il testo [della carta
costituzionale], perché soltanto a questa condizione può considerarsi davvero
soddisfatta la libertà di ciascuno»73.
Il principio personalista predica il primato della persona umana74, posto a
fondamento dell’ordine costituzionale come unità sistematica75
e dei fini-valori che
essa prescrive nell’organizzazione della convivenza civile. La persona è concepita come centro di imputazione dei diritti inviolabili riconosciuti nell’art. 2, CI76
.
68 Cfr. Corte cost., 23 luglio 1991, n. 366, Giur. cost., 1991, p. 2914. 69
Cfr. Corte cost., 22 gennaio 1982, n. 18, in Cons. Stato, 1982, II, p. 164.
70 Cfr. Corte cost., 4 febbraio 2003, n. 29, in Cons. Stato, 2003, II, p. 183. 71 Cfr. C. M
ORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, (edizione rielaborata e aggiornata a cura di F.
MODUGNO,A.BALDASSARRE,C.MEZZANOTTE), Padova, 1991, pp. 151 ss. Analogamente V. ONIDA,
Le Costituzioni. I principi fondamentali della Costituzione italiana in G. AMATO, A. BARBERA,
Manuale di diritto pubblico, Bologna 1997, I, pp. 98 ss.
72 M. A
INIS, La Costituzione e i suoi destinatari: i concetti di «applicazione», «attuazione», «esecuzione» ed «osservanza» delle norme costituzionali, in S. LABRIOLA (a cura di), Cinquantenario della Repubblica italiana: giornate di studio sulla Costituzione, Roma, 10-11 ottobre 1996, Milano, 1997, p. 171.
73 M. A
INIS, La Costituzione e i suoi destinatari: i concetti di «applicazione», «attuazione», «esecuzione» ed «osservanza» delle norme costituzionali, in S. LABRIOLA (a cura di), Cinquantenario della Repubblica italiana: giornate di studio sulla Costituzione, Roma, 10-11 ottobre 1996, Milano, 1997, p. 172.
74 Tale principio viene considerato in dottrina un punto di rottura con la stessa tradizione liberale
italiana, per la quale le libertà individuali erano comunque subordinate, seppur per mezzo di procedure legali, al «valore primario dello Stato inteso come autorità e organizzazione» (A. BALDASSARRE, Il significato originario della Costituzione, in Quaderni della Rassegna parlamentare, 1997, I, pp. 117-118).
75 Cfr. P. P
ERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972, pp. 12 e ss.
L’unità sistematica dell’ordinamento giuridico è inoltre premessa per un superamento della rigida separazione tra diritto pubblico e diritto privato, per mezzo della quale si svuoterebbe in larga parte il significato della funzione sociale della proprietà (P. PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972, p. 22).
76
L’inviolabilità - seppur denoti una certa continuità rispetto ad una tradizione
filosofico-giuridica gius-naturalista che sarebbe impossibile ignorare77 - acquista
proprio in relazione all’articolo 139, CI, e al concetto di forma di Stato, un
significato che supera per importanza i termini della dibattuta questione sul
fondamento della CI78.
Trattasi di diritti che non individuano solo spazi di auto-determinazione
raccolti nella dimensione intra-subbiettiva dell’individuo. Essi costituiscono
strumenti di promozione ed emancipazione del singolo nella relazionalità che lo
trasformano, nel conteso delle istituzioni in cui si esplica la naturale socialità umana,
in persona79. I diritti inviolabili dell’individuo, costruiti originariamente nella
dimensione garantista con cui si delineava uno spazio di libertà rispetto allo Stato80,
si trasformano in diritti della persona nel momento in cui diviene costituzionalmente
rilevante la conformazione delle relazioni inter-soggettive in virtù degli obblighi
inderogabili di solidarietà politica, sociale ed economica che legano «l’uomo
all’uomo»81 .
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
77 Cfr. P. M
ADDALENA, La Costituzione della repubblica italiana sessant'anni dopo la sua entrata in
vigore, in Dir. amm., 2008, 4, p. 726.
78
Il nesso tra inviolabilità dei diritti riconosciuti e garantiti ex art. 2 CI e limiti al potere di revisione è rilevata da Mortati, secondo il quale «la proclamazione di intangibilità dei diritti, qualificati fondamentali perché necessari all’esplicarsi della personalità, vale a sottrarli ad ogni intervento limitativo, anche se a opera di intervento di revisione costituzionale» (C. MORTATI, Art. 1, in G.
BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1975, p. 8); tale relazione è rilevata
anche da Barile, per il quale i diritti riconosciuti e garantiti ex art. 2 CI sono «considerati evidentemente più essenziali di tutti: perciò sono inviolabili anche da pare del legislatore costituzionale, il c.d. potere di revisione della Costituzione» (P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà
fondamentali, Bologna, 1984, p. 53).
79 Cfr. A. B
ARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna,
1975, p. 106. Come scrive Perlingieri: «è necessario, preliminarmente, prendere posizione contro la concezione che considera l’individuo valore pre-sociale, rilevante anche dal punto di vista giuridico, a prescindere dalla relazione con gli altri individui. Le conseguenze di tale concezione non soltanto contrasterebbero con i principi dell’ordinamento ma, probabilmente, creerebbero una situazione di stallo rispetto al problema della tutela giuridica della personalità. […] In tal guisa si accentua l’isolamento dell’individuo e dello studio dei suoi problemi da quello della società in cui vive, ispirandosi ad una visione individualistica, non conforme al sistema costituzionale» (P. PERLINGIERI,
La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972, pp. 142-143).
80 Trattasi del concetto di libertà dell’ordine giuridico liberale, inadeguato rispetto all’esigenza di
passare da un «diritto di libertà» ad un «diritto da libertà» (A. BARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1975, p. 72).
81 A. B
ARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1975, pp.
98 e ss. Inderogabilità dei doveri e inviolabilità dei diritti costituiscono due aspetti strettamente interrelati, che qualificano la posizione della persona nell’ordinamento costituzionale. Cfr. C.